Riccardo Bisti
21 November 2017

Addio, dolce Jana

Sembrava fragile, invece era molto forte. Perché ci vuole forza per mostrare le proprie debolezze davanti a milioni di persone. Jana Novotna lo aveva fatto, piangendo sulla spalla della Duchessa di Kent dopo aver perso una clamorosa finale di Wimbledon. “Prima o poi ce la farai” le disse all'orecchio. Non l'avrebbe delusa. Si è spenta a 49 anni dopo una silenziosa battaglia contro il cancro.

Ogni volta che i suoi occhi celesti guardavano la pallina prima di accarezzarla con un racchettone Prince, sembrava che Jana Novotna avesse paura. Li spalancava, trasmettendo un profondo senso di umanità. Sembrava la massima espressione di una personalità di cristallo, così come il suo stile di gioco. Ma Jana era molto più forte di quel che sembrava. Amici e parenti saranno stravolti per la sua morte ad appena 49 anni, ma si dice che certi miti se ne vadano prima del tempo per evitare che invecchino. In una delle sue ultime apparizioni, nel 2012, la Novotna era ancora in perfetta forma e sembrava quasi che il tempo fosse si fosse fermato a sabato 3 luglio 1998, quando chiuse il cerchio della sua carriera vincendo Wimbledon. Fu il suo unico Slam in singolare (ne ha raccolti altri sedici, 12 in doppio e 4 nel misto), ma dietro c'era una storia da romanzo, forse da film. Una storia nata nel cuore degli anni 80, quando la Cecoslovacchia non poteva godersi i successi di Martina Navratilova, fuggita negli Stati Uniti nel 1975 e orgogliosamente americana. Chissà come hanno vissuto, i cecoslovacchi, la finale di Fed Cup del 1986, quando Martina si è presentata a Praga, da americana, per la prima volta dopo la fuga per la libertà. I più rancorosi si erano tolti una bella soddisfazione un paio d'anni prima, quando Helena Sukova la battè in semifinale all'Australian Open, negandole un Grande Slam che sembrava ormai acquisito. La migliore giocatrice cecoslovacca degli anni 80 fu Hana Mandlikova, meravigliosa campionessa, interprete di un favoloso serve and volley, forse la più bella più bella di tutte da veder giocare. Ha vinto quattro Slam, ma a Wimbledon si è sempre incagliata. Quanto lo avrebbe voluto.

LA DUCHESSA DI KENT
“Sono cresciuta ammirando Mandlikova e Sukova, la Navratilova era già andata via” ha detto la Novotna nel 2005, quando entrò nella Hall of Fame. Quando la Mandlikova prese il posto di Mike Estep al suo angolo, vide in quella ragazza fragile la sua erede, l'unica capace di regalarle quel Wimbledon che le era sempre sfuggito da giocatrice. Jana ha sempre rispettato la palla da tennis: non l'ha mai maltrattata, l'ha sempre trattata con dolcezza, voleva che ridesse senza sanguinare. Wimbledon era il luogo adatto per sublimare la bellezza del suo gesto. Ai Championships del 1993 ha prodotto il miglior tennis della sua vita. Via Gabriela Sabatini nei quarti, via Martina Navratilova in semifinale. Un'altra piccola rivincita contro Martina “la traditrice”, che fino ad allora l'aveva sempre battuta. La finale, beh, è storia. Grazie al folle accoltellamento di Gunther Parche a Monica Seles, avvenuto due mesi prima, Steffi Graf era rimasta senza avversarie. Doveva vincere a mani basse, invece il primo set fu battaglia furibonda. Vinse al tie-break, poi si fece travolgere dal più bel serve and volley di sempre. 6-1 4-1 per Jana, 40-30, palla del 5-1. Il Duca e la Duchessa di Kent erano già pronti per scendere in campo. A cinque punti dal sogno, Jana si è infilata in un tunnel senza uscita, inaugurato con un doppio fallo di metri. Il telecronista BBC disse che non c'erano ancora i segnali di un crollo. Invece era l'inizio di un incubo durato cinque game, il tempo necessario alla Graf per ribaltare tutto e aggiungere un altro Slam alla sua collezione. Durante la premiazione, in preda a lacrime di disperazione, la Novotna non trovò di meglio che piangere sulla spalla della Duchessa di Kent. “Stai tranquilla, prima o poi ce la farai” le disse Katharine Worsley. Ancora oggi, uno dei momenti-simbolo in 140 anni di storia dei Championships. Negli anni a venire, Jana ha continuato a vincere. Il pallottoliere parlerà di 100 titoli WTA (24 in singolare e 76 in doppio), ma Wimbledon non arrivava mai. Nel 1997 avrebbe raggiunto un'altra finale, perdendo in due set dalla rampante Martina Hingis.

BATTAGLIA SILENZIOSA
Ma le parole della Duchessa avrebbero trovato conforto l'anno dopo, quasi fuori tempo massimo, quando aveva 29 anni e 9 mesi. Vinse contro Venus Williams in un duro quarto di finale, si prese la rivincita contro Martina Hingis e poi superò Nathalie Tauziat prima di trasformare in sorrisi le lacrime di cinque anni prima. “Sono fiera di te”, le disse la Duchessa, che nel frattempo si era convertita al cattolicesimo. L'anno dopo, la moglie del Duca Edward avrebbe polemizzato con l'All England Club perché non le aveva dato il permesso di portare nel Royal Box un ragazzino di 12 anni, figlio di un'amica che aveva avuto un lutto. Nel 2001 avrebbe premiato per l'ultima volta prima di ritirarsi a vita privata. Il caso ha voluto che tornasse a farsi vedere solo nel 2017, a 84 anni di età, per la semifinale tra Roger Federer e Tomas Berdych. Non sappiamo se Jana e la Duchessa siano rimaste in contatto, ma di certo avevano molto in comune. In primis, il coraggio. La capacità di restare fedeli a se stesse. La Duchessa non si è fatta condizionare dal suo ruolo nella famiglia reale e ha sempre difeso le sue idee. Jana ha continuato a crederci, fino all'ultimo respiro. Ed è stata premiata appena prima che il fisico le dicesse basta. Dopo il ritiro, ha continuato a farsi vedere: trasferitasi negli Stati Uniti, ha partecipato a diversi match di esibizione e ha lavorato come commentatrice per la BBC. Nel 2010 è tornata in Repubblica Ceca, prima che una notizia infame facesse irruzione nella sua vita. Jana ha condotto in silenzio la sua battaglia, con coraggio e dignità. Le lacrime e le insicurezze la aveva lasciate alla sua carriera da tennista, ma non ha perso quel senso di timidezza che l'ha sempre accompagnata. Se n'è andata in un giorno di fine autunno, a stagione conclusa, come se non volesse disturbare. Le manifestazioni d'affetto e di dolore sono piombate da ogni parte del mondo. Perché non è necessario collezionare titoli e trofei per entrare nel cuore della gente. Jana lo aveva fatto, mostrando al mondo le sue fragilità nel modo più doloroso, poi trovando la forza di scherzarci anni dopo. “Ti capita spesso di pensare al tuo Wimbledon?” le hanno chiesto nel 2005. “Quale?” ha risposto, ridendo.
Intendevano quello del 1998. Quello vinto.

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