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Riccardo Bisti
03 September 2017

Andrey Rublev, il nuovo pittore di Russia

Con gli ottavi a New York, Andrey Rublev è sempre più noto al pubblico mainstream. Il suo tennis ricorda quello di Yevgeny Kafelnikov, ma dovrà mettere su qualche muscolo prima di essere davvero competitivo. L'accademia di Galo Blanco gli ha dato un pizzico di disciplina: fino a un anno fa, non sapeva neanche iscriversi ai tornei.
Lui è cresciuto nel mito di Marat Safin. Il suo allenatore, l'ex pedalatore spagnolo Fernando Vicente, dice che ricorda soprattutto Nikolay Davydenko. Ma l'appassionato di tennis si innamora della tecnica, del gesto, dell'emozione che trasmette un movimento. E allora, è impossibile non accostare Andrey Rublev a Yevgeny Kafelnikov, primo russo a vincere un torneo del Grande Slam e a diventare numero 1 del mondo. Lo chiamavano “Principino” per quel tennis aristocratico, fatto di movenze eleganti e magia che sprigionava su ogni colpo, soprattutto con il rovescio. Ecco: se nello scorso weekend avete dato un'occhiata alle fasi finali del torneo ATP di Umago, vi sarà parso di tornare indietro di una ventina d'anni. Dritto e rovescio di Rublev sono molto, molto simili a quelli di “Kaf” e tanto basta per tranquillizzare gli appassionati. Anche volendo, Andrey non potrebbe essere un brutale picchiatore. Per quanto tiri forte, e papà Andrey (non sono molto originali coi nomi, i Rublev...) abbia un passato da pugile, lui è ancora gracilino. Il sito ATP informa che pesa appena 68 kg e la storia recente ci insegna quanto siano importanti i muscoli. Negli ultimi dieci anni, soltanto un giocatore così leggero è entrato tra i top-10 (David Goffin). Forse non lo sa neanche il suo staff, ma a Barcellona hanno ben chiari obiettivi e priorità. Ci eravamo accorti di questo ragazzino tre anni fa, quando vinse il Roland Garros Junior in finale su Jaume Munar, pupillo di Rafa Nadal. Grazie ai buoni uffici di IMG, che ne cura gli interessi, l'esordio tra i professionisti non è stato così traumatico. Un paio d'anni fa, le prime wild card gli hanno regalato buoni risultati nei tornei più importanti. A Miami, per esempio, è diventato il terzo più giovane di sempre a passare un turno (avevano fatto meglio soltanto Boris Becker e Fabrice Santoro). Sempre nel 2015, fu decisivo nella vittoria della Russia in Coppa Davis, a Vladivostok contro la Spagna. Vinse il match decisivo contro Pablo Andujar, ma di quel match si ricorda la polemica a distanza con Tommy Robredo. Dopo la (netta) sconfitta nella prima giornata, lanciò fiamme in conferenza stampa. “Sono molto deluso di questo risultato. Non ero in buone condizioni fisiche e non ero concentrato a dovere. Questa partita mi ha insegnato molto, mi ha svelato le cose su cui devo lavorare. Robredo ha detto che la Spagna avrebbe vinto senza problemi? Io posso dire che nell'arco di un anno batterò Robredo senza sforzarmi molto”. Ebbe immediata rivincita, si sarebbe scusato via Twitter, poi Fognini lo avrebbe ridimensionato nello spareggio contro l'Italia.
LA DISCIPLINA DEGLI SPAGNOLI
​Quello stesso Fognini battuto nei quarti di Umago (dove Andrey ha vinto il suo primo titolo ATP), al termine di una partita bellissima in cui l'azzurro, pur giocando bene, si è arreso al tie-break del terzo. Lo ha paragonato a una Playstation, come aveva fatto qualche anno fa con Novak Djokovic. Ma adesso basta, con gli accostamenti. Andrey Rublev ha dato una svolta alla sua carriera quando ha scelto di abbandonare la Grande Madre Russia per spostarsi a Barcellona, laddove fatica e disciplina sono concetti ben più rigidi che a Mosca. Iniziato al tennis da mamma Marina Marenko, non ha mai pensato di fare qualcosa di diverso. La madre aveva allenato Anna Kournikova, Irina Khromacheva e Daria Gavrilova, ma ha avuto l'intelligenza di lasciare il figlio ad altre mani, per evitare un pernicioso intreccio di ruoli. “Quando aveva 2 anni, aveva una stanza piena di giochi, ma li ha trascurati tutti per concentrarsi sulla racchetta da tennis” racconta. Si spiegano così le difficoltà di Andrey di ricordare i suoi inizi. Era davvero troppo piccolo. Da bambino si allenava allo Spartak Club di Mosca, laddove sono transitati Safin, Youzhny, Andreev e Tursunov. Per anni è stato allenato dall'ex pro Andrei Tarasevich, ma qualcuno ha pensato che non fosse più sufficiente. Il caso ha voluto che Karen Khachanov, suo amico d'infanzia, lavorasse con Galo Blanco presso l'Accademia “4 Slam Tennis” di Gavà, nei pressi di Barcellona. Blanco è colui che ha portato Milos Raonic tra i top-10. Già impegnato con Khachanov, ha accettato di accogliere Rublev nella sua struttura e gli ha messo alle calcagna Fernando Vicente. “Sinceramente non avevo tanta voglia di allenarlo – ammette Vicente – volevo passare un po' di tempo con la famiglia dopo 4 anni in giro per il mondo come coach di Marcel Granollers. Abbiamo fatto una settimana di prova”. Oggi Rublev è ancora lì e, dopo lo splendido successo a Umago, è entrato tra i top-50 ATP a 19 anni e 9 mesi. Se non ci fosse lo scudo mediatico rappresentato da Alexander Zverev, sarebbe il più in vista tra i ragazzi della “Next Gen”. A Barcellona, hanno trovato un diamante puro ma acerbo. “Intanto aveva un fisico molto debole, faceva fatica a sostenere certi ritmi – racconta Vicente – noi gli abbiamo fatto capire che i successi non arrivano in fretta. Come ogni ragazzo, non accetta gli errori e ogni tanto perde la testa”. Ma Andrey è un ragazzo allegro, socievole, con le giuste ambizioni. E allora si è creata rapidamente la giusta alchimia. “Bisogna stare attenti a ogni cosa che fa – continua Vicente – è un rapporto che impegna 24 ore al giorno: dobbiamo dirgli cosa mangiare, a che ora si deve scaldare....però è bello vederlo crescere. Quando è arrivato non sapeva nemmeno iscriversi ai tornei, facevano tutto per lui. Noi gli abbiamo insegnato un po' di cose, a prendere decisioni, ad essere più responsabile”.
CATENA DI RISTORANTI
Vicente parla al plurale perché c'è un team completo a occuparsi di Rublev: con lui ci sono anche Abraham Gonzalez (a Umago c'era lui) e il preparatore atletico Marcos Pizzorno. Ci vorrà tempo affinché Andrey metta su i muscoli necessari, ma intanto la palla fila via che è un piacere. Forte di un notevole equilibrio tra dritto e rovescio, è dotato di uno straordinario timing che gli permette di generare notevole velocità, peraltro trovando spesso gli ultimi centimetri di campo. Rublev è il tipico giocatore di cui diresti che “è in grado di colpire una monetina da 30 metri di distanza”. E' curioso che il suo fisico sia gracilino, poiché il papà è un ex pugile di ottimo livello. Per anni, tra l'altro, ha accompagnato qualche esercizio di boxe a quelli tennistici. Ma non ha fatto in tempo a vedere le scazzottate del padre: quando lui è venuto al mondo, papà Andrey aveva già cambiato vita, aprendo una catena di ristoranti a Mosca. Per questo, sin da piccolo, è abituato a mangiare di tutto. “A causa dei ristoranti di mio padre non ho quasi mai mangiato a casa. Abbiamo 13-14 locali in giro per Mosca, e sono tutti diversi: russo, giapponese, italiano, poi qualche bar. Il mio ristorante preferito è quello italiano, con cuochi italiani che preparano piatti deliziosi”. Adesso i ristoranti di papà non sono più un'abitudine: quando non viaggia il mondo, Andrey sta in Spagna e torna a casa soltanto occasionalmente. Per esempio, quando ha bisogno di recuperare qualche visto d'ingresso. Il distacco non è stato semplice, all'inizio i genitori avevano faticato a farsi da parte. Ma adesso si è creato il giusto equilibrio ed è arrivato il primo titolo ATP, guarda caso nella settimana in cui ci sono state le nuove induzioni nella Hall of Fame di Newport. Quella Hall of Fame che resta preclusa a Yevgeny Kafelnikov, non senza qualche polemica. Forse Rublev non lo sa, ma se un giorno dovesse entrarci anche lui, sarebbe un piccolo indennizzo. Tecnica, talento, quel qualcosa che viene dal destino e che non si può allenare. Un po' come la pittura, come quel monaco che nel quindicesimo secolo si trasferì a Mosca e si dedicò alla pittura. Divenne il più importante iconografo russo, al punto che nel 1966 gli hanno anche dedicato un film. Si chiamava Andrei Rublev. In fondo c'è solo una lettera di differenza.
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