È ovvio che nella testa del serbo sia cambiato qualcosa. Si è spento quel fuoco interiore capace di portarlo un gradino sopra tutti gli umani. Specialmente a Melbourne, la sua Melbourne, dove ha costruito buona parte del campione che è diventato.
Fino a poco tempo fa i match così li vinceva col cognome, e se non bastava quello ci metteva il tennis, e se non bastava il tennis ci metteva testa, gambe e cuore. Contro Istomin invece è andato alla deriva da perdente, vincendo sette punti in più ma cedendo due tie-break. Gli sono mancati i suoi punti cardine: la risposta, il killer instinct per ammazzare il match nel quarto set, quella fame di vittorie capace di divorarsi tutte le difficoltà. Altro che RoboNole o robe simili. Il titolo a Doha sembrava averlo rilanciato, invece
è stata la più amara delle illusioni, l’antipasto di una cena da tre stelle Michelin andata di traverso alla prima portata. Era da Wimbledon 2008 che non perdeva al secondo turno di uno Slam, e di giornate storte gliene erano capitate eccome. Anche a Melbourne, lo scorso anno, contro Gilles Simon. Fece cifra tonda di gratuiti, cento (!), ma l’ultimo punto lo vinse lui. Stavolta no. La sconfitta terribile contro Sam Querrey è stata rapidamente scalzata dal titolo di punto più basso della sua carriera. E se uno come lui, dopo una sconfitta simile, dice di aver “
solo voglia di tornare a casa dalla famiglia”,
vuol dire che dal Roland Garros in avanti qualcosa si è rotto per davvero. Nell’animo del campione d’acciaio che di colpo si è scoperto fragile. Volere non è più potere. E solo lui sa quanto sia difficile da accettare.
LE DICHIARAZIONI DI DJOKOVIC IN CONFERENZA STAMPA
IL RACCONTO DELLA SCONFITTA CONTRO DENIS ISTOMIN