Il prete che gioca i tornei di «quarta»

L'ordinazione a sacerdote aveva fatto passare l'amore per il tennis in secondo piano, ma dopo 15 anni Don Paolo è tornato in campo. Tra una messa e una confessione è arrivata anche l’attività FIT, ma tennis non è solo tenersi in forma: «Credo che il buon Dio lo usi come forma di evangelizzazione».
Stilando l’identikit del buon sacerdote moderno, Papa Francesco ha detto che dovrebbe essere «preso fra gli uomini, costituito in favore degli uomini, presente in mezzo agli altri uomini». Anche sui campi da tennis? Certamente, con tanta passione, un bel gioco d’attacco e un progetto di salire di classifica rimandato soltanto per problemi di salute. All’appello risponde Don Paolo Bettonagli, 52 anni da Tirano, in quella Valtellina nota per la bresaola, il Braulio e alcune delle località sciistiche più belle d’Italia. Alla voce professione, la carta d’identità di Facebook recita Presbitero della Chiesa Cattolica, più comunemente detto sacerdote o prete, in tre piccole parrocchie valtellinesi: Teglio San Giacomo, Castello dell’Acqua e Tresenda. Chi meglio di lui può sfatare il luogo comune impolverato del parroco che si limita a preghiera e funzioni religiose? I tempi corrono e anche la Chiesa si adegua, con Don Matteo che nella finzione tv risolve omicidi e Don Paolo che nella realtà gioca i tornei di quarta categoria. Gli impegni in parrocchia si portano via gran parte del tempo, ma accanto a messe, confessioni e all'amore per l’astronomia, ci sono anche la tessera FIT e le Pure Drive pronte nel borsone, per dar sfogo a una passione nata da bambino, condivisa col fratello, grazie alla coppia di Maxima in legno regalate da mamma e papà. «Ai tempi si giocava per strada – ricorda – perché dalle nostre parti le strutture scarseggiavano. Poi è arrivato un campetto e da ragazzo ci ho giocato qualche ora. Ma sempre e solo per divertimento».

Poi, fra gli studi di teologia e l’ordinazione a sacerdote che risale al 1991, il tennis è sparito completamente dalla sua vita, lasciando spazio a pallavolo e calcio, prima di tornare a farsi vivo una quindicina d’anni fa. «Ero parroco in provincia di Varese e alcune persone del paese mi hanno spronato a riprendere a giocare insieme a loro. Dicevano che giochicchiavo benino, così mi hanno spinto a fare la tessera agonistica e a iniziare con i tornei».

Il sito Tennistalker, usato più in versione stalker che talker, racconta di un’attività piuttosto florida negli anni scorsi, che l’aveva portato alla classifica di 4.3. «I miei superiori – spiega – sono al corrente della mia passione e del fatto che gioco i tornei. Al di là della parte sportiva, il tennis mi ha dato la straordinaria opportunità di conoscere tantissime persone. Prima di un match mi presento sempre: piacere, Paolo, sono un prete. Tanti ne restano sorpresi, ma in quindici anni di tennis a livello agonistico sono anche nate delle vere amicizie e dei rapporti di stima reciproca. È capitato che alcune persone che si erano allontanate dal cammino di fede, conoscendomi e parlando dopo una partita di tennis, si siano riavvicinate. Come è successo che alcuni miei avversari, sapendo del mio servizio (non quello con la racchetta, ndr), mi abbiano proposto di berci una birra insieme per chiedermi qualche consiglio su alcune situazioni della loro vita». Una sorta di confessione 2.0, in versione tennis club. «Papa Francesco dice che bisogna avvicinarsi alle periferie, a quegli ambiti dove all’apparenza c’è indifferenza nei confronti della fede. Dico una cosa forte: credo che il buon Dio abbia usato il tennis anche come forma di evangelizzazione».
Nell’attività agonistica del don-tennista si nota solo un’assenza: le gare a squadre, come è normale che sia visto che se la domenica è per (quasi) tutti sinonimo di riposo, per i sacerdoti è il giorno lavorativo per eccellenza. Una questione di un certo rilievo, visto che può complicare la partecipazione ai tornei. «Ogni tanto mi è costata qualche rinuncia. Ho spiegato che facendo il sacerdote, la domenica avrei potuto giocare solo la sera tardi: qualcuno mi è venuto incontro, altri no. Quando vivevo in provincia di Varese giocare tornei era molto più semplice, perché ce n’erano ovunque, quasi ogni settimana, mentre in Valtellina, dove sono tornato da cinque anni, la situazione è ben diversa». Tuttavia, il problema ora è un altro e riguarda le articolazioni. «È un discorso piuttosto serio, da non sottovalutare. Peccato, c’era la prospettiva di salire 4.2, ma al momento non posso proprio giocare. Inizi a saltare uno, due, tre tornei e la classifica peggiora». Dallo scorso marzo, l’attività sui campi ha subìto un brusco stop, o «un attimo di pausa», come piace definirlo a lui. Le ginocchia non fanno bene il loro dovere, quindi niente più tornei, ma per adesso nemmeno quattro palleggi con gli amici o una lezione al TenniSporting Club di Sondrio col maestro Fausto Scolari, che fino all’estate dell’anno scorso ha lavorato in Valtellina, prima di entrare fra i tecnici della Federtennis al Centro Tecnico di Tirrenia, grazie ai meriti dimostrati con la sua Federica Rossi, una delle migliori giovani azzurre del 2001.

Non potendo attualmente giocare, Don Paolo si consola con un po’ di tennis in televisione. Più Federer che Nadal («Roger a inizio carriera era un pazzo, ora è un signore») e meglio un bell’incontro femminile rispetto ai match sparatoria di Isner, Karlovic e compagnia, anche se pure il suo modello, Andy Roddick, non è che col servizio ci andasse piano: «Mi è sempre piaciuto perché credo che il mio tennis, con le dovute proporzioni, ricordi un po’ il suo. Non mi piace scambiare, arrivo al massimo a sette, otto colpi, poi provo a mettere in difficoltà l’avversario scendendo a rete o cercando la soluzione vincente». In campo A-Rod da Omaha era molto sportivo, anche se la memoria ricorda qualche sceneggiata, come il «mandate a scuola i vostri figli, altrimenti da grandi diventeranno arbitri» urlato al pubblico dell’Australian Open dopo un diverbio col giudice di sedia. Per non parlare delle racchette disintegrate.

E Don Paolo? «Quando faccio qualcosa voglio farla bene, quindi se in campo commetto un errore sciocco me la prendo. Mi arrabbio con me stesso e capita che ogni tanto la racchetta scivoli di mano. Ma non in maniera esagerata e sempre nel rispetto dell’avversario. Però non dico parolacce, quelle mai». Mica come qualche avversario che, pur sapendo che dall’altra parte della rete c’era un prete, ha dato comunque sfoggio del prontuario di bestemmie o ha chiamato con disinvoltura qualche out molto fantasioso: «Le parolacce mi danno fastidio, mentre per qualche palla dubbia non me la prendo. Si trova sempre qualcuno che prova a darsi una mano, è capitato tante volte. Pazienza. Si dice che l’importante sia partecipare, ma la trovo una frase limitante. Quando si gioca, tutti vogliono vincere. Certo, sarebbe importante provarci con onestà». Come detto, i problemi di salute hanno imposto altre priorità, ma il tennis resta sempre in primo piano. «Al momento non ho grandi prospettive, e non so se riuscirò a riprendere con l’intensità di prima, anche perché gli anni passano e l’età inizia a farsi sentire. Ma la speranza di tornare a giocare me la tengo ben stretta. Anche a costo di mettermi seduto al centro del campo e farmi tirare qualche palla». Se non è passione questa…

(Articolo pubblicato sul numero di novembre 2017 de Il Tennis Italiano)
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