Dustin Brown: la racchetta a ritmo di reggae

Ha battuto Hewitt a Wimbledon ed è approdato al terzo turno dei Championship’s. Ma chi è Dustin Brown? E’ il Bob Marley della racchetta. Madre tedesca e padre giamaicano, tennista autodidatta e modello per hobby. Ora ha imparato anche a vincere. Tra varie stranezze, movimenti bizzarri, urla sguaiate, il 28enne “Dreddy” punta in alto ...

Dustin brown: la racchetta a ritmo di reggae

di Cristian Sonzogni - foto getty Images

Articolo apparso sul numero di Marzo 2010 de Il tennis Italiano

Avete mai visto un giocatore con una capigliatura dread che arriva ben oltre metà schiena? Uno che porta le stringhe delle scarpe di colori diversi? Oppure uno che non si siede mai ai cambi di campo? O uno che lancia la racchetta e urla dopo aver chiuso ogni punto vagamente lottato?

Se avete dato quattro risposte negative, non avete mai visto giocare un personaggio per cui vale la pena di spendere un po’ di soldi e un po’ di tempo. Si chiama Dustin Brown, ha gesti da quarta categoria, sembra capitato sul campo un po’ per caso ma adesso vince spesso, e si avvicina a grandi passi verso l’Olimpo del tennis. Se a tutto questo, poi, aggiungiamo che Dustin a tempo perso si diverte a fare il modello, e per anni ha viaggiato in camper in giro per l’Europa, ce n’è abbastanza per dipingere un elemento unico nel panorama del tennis professionistico.

Folklore a parte, però, è il caso di spendere qualche riga per cercare di capire come mai, dopo sette stagioni passate nei “bassifondi”, numero 500 e rotti in classifica, questo Brown si sia proposto nel giro di dodici mesi come vero “newcomer” del circuito. Ancor più considerando il fatto che tra lui e il successo non ci sono mai stati di mezzo infortuni gravi. La premessa da fare è che il giamaicano è tecnicamente molto limitato.

Lo si vede chiaramente nel rovescio, ma anche nel gioco di volo e negli spostamenti. E la cosa si spiega col fatto che il ragazzo di colore, nato in Germania ma tornato nella sua terra d’origine all’età di 12 anni, da adolescente non ha ricevuto nessun supporto tecnico. “Non c’erano circoli e maestri come in Europa - dice lui candidamente - dunque non mi restava altro da fare che piazzarmi fuori da un campo e aspettare che arrivasse qualcuno per fare due scambi”. Le doti però c’erano già, una certa rapidità di braccio su tutte.

Così tra difficoltà varie, soprattutto economiche visto che la famiglia non è di quelle agiate, Dustin riesce comunque a costruirsi giocatore pezzo per pezzo, svolgendo attività internazionale da junior (arriverà a toccare il numero 61) e sfruttando una serie di Futures in Giamaica tra il 2002 e il 2003 per avviare la carriera da pro.

Futures che però, l’anno successivo, escono dal calendario, obbligando la famiglia Brown a un ultimo sforzo: l’acquisto di un camper per permettere al figlio di inseguire il suo sogno sulle strade d’Europa.

E qui comincia l’enigma vero: com’è possibile che, dal 2004 al 2008, “Dreddy” non sia mai lontanamente andato vicino alla posizione numero 400, e oggi sia vicino ai top 100 Atp? Enigma che però, tutto sommato, non è di difficile soluzione. In fondo basta guardarlo bene per qualche game e la risposta si può pure trovare. Per giunta in una parola sola: fiducia. La fiducia che, acquisita piano piano a suon di vittorie apparentemente senza troppo significato, gli consente adesso di sparare servizi vicino (o, spesso, oltre) i 200 orari, di giocare risposte a tutto braccio che viaggiano più rapide delle battute altrui, di avventurarsi in volée acrobatiche a seguito di attacchi con improbabili tagli di diritto, che disorientano gli avversari.

Avversari che spesso - chiedere a Crugnola per conferma - sono costretti a sfogare la loro frustrazione frantumando a terra racchetta e speranze di vittoria.

Fiducia dunque, ecco la chiave. Anche se questa grande considerazione che Brown ha verso se stesso lo fa pure scivolare verso l’arroganza, non fuori dal campo ma dentro, a volte, sì. Detto questo, il ragazzo è corretto (più volte applaude i punti altrui), ha ancora dei margini e sicuramente farà bene al tennis. Perché crea spettacolo come pochi, si diverte e non gioca solo per i punti o per i soldi. In questi bassi tempi di omologazione, bisogna sperare che si conservi a lungo.

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