Stavolta non c'era Ilie Nastase a insultarla. Il clima di Wimbledon era ben diverso rispetto a quello trovato a Bucarest in Fed Cup, dove Johanna Konta aveva abbandonato il campo in lacrime, scossa dalle offese dell'ex campione rumeno. Sotto il tetto del Centre Court c'erano 30.000 occhi che hanno sofferto, sperato e gioito insieme a lei. C'erano anche quelli di Virginia Wade, vestita di grigio, ultima britannica ad andare così avanti a Wimbledon, nonché ultima a sollevare il Rosewater Dish. Era il 1977, esattamente quarant'anni fa. E allora giornali e tabloid inglesi avranno gioco facile nel menzionare corsi e ricorsi storici dopo il 6-7 7-6 6-4 con cui ha acciuffato la Final Four. Giovedì, per un posto in finale, dovrà battere Venus Williams. Ma intanto si gode il gran successo su Simona Halep: se lo è preso con coraggio, creandosi decine di occasioni. A furia di costruire, alla fine ha raccolto la più importante, nel quinto game del terzo set. “Il mio unico piano era crearmi più chance possibili, perché lei non mi regalava nulla – ha detto a caldo – per fortuna, alla fine ne ho sfruttata qualcuna”. Per la gioia sfrenata del pubblico, che ama il suo spirito combattivo e un atteggiamento mai sopra le righe. Qualcuno ha esagerato, strillando durante il matchpoint e disturbando chiaramente la Halep. Il punto andava ripetuto, ma difficilmente la storia sarebbe cambiata. Semmai, andrebbe regolata la norma che permette alle giocatrici di uscire dal campo “per un tempo ragionevole”. A fine secondo set, la Konta è rimasta troppo a lungo nella pancia del Centre Court.