20 October 2016

L'ansia da prestazione

La pressione che ogni giocatore sperimenta durante un match è causa di errori tecnici, tattici e atteggiamenti poco ortodossi. L’emozione in gara però non può essere risolta al momento, va gestita e per questo occorre tempo...

L'ansia da prestazione

di Antonio Daino - foto Getty Images

 

L’emozione in gara è la situazione che fa dire al tennista che l’aspetto mentale è la parte più importante del gioco. La pressione infatti che si sperimenta nei momenti topici della partita è così alta che il giocatore non riesce a capacitarsi di alcuni errori tecnici, tattici o psicologici che si trova a commettere. La spiegazione scientifica di questo fenomeno si chiama ansia da prestazione e caratterizza naturalmente non solo i tennisti, ma tutti coloro che sono chiamati a erogare una prestazione al limite delle loro possibilità. Non è un caso che l’emozione è rappresentata dalla seconda colonna del tempo della forza mentale presentato nel primo articolo, nel quale si sosteneva la necessità che l’Io 1 e l’Io 2 si sostenessero in modo sinergico e non schizofrenico, come talvolta si vede sui campi da tennis.

 

L’errore più frequente che commette la maggior parte dei tennisti a questo riguardo, è quello di considerare la reazione all’ansia un problema contingente da risolvere, e non il risultato di un percorso che il giocatore si è costruito nella sua formazione agonistica. E’ evidente che se non si affronta il “dilemma” con il giusto approccio, non sarà possibile risolverlo.

 

La gara rappresenta per il giocatore uno stimolo a cui viene attribuito un valore assoluto. Su questa attribuzione si verifica un’involontaria mobilitazione, per via nervosa ed endocrina, dell’apparato cardiovascolare, dell’apparato respiratorio, del tono muscolare e così via. In sintesi, le energie psicofisiche dell’organismo vengono attivate per far fronte all’impegno massivo necessario “per non morire”, non quelle necessarie per vincere una partita eseguendo dei movimenti di altissima coordinazione. Gli schemi motori del tennista non hanno alcuna radice istintuale, sono movimenti innaturali e costruiti attraverso milioni di ripetizioni. La principale difficoltà che incontra il tennista sotto pressione è da ricercare nella separazione “contro-natura” tra l’aumento della pressione emotiva e i movimenti necessari per colpire la palla. La pressione emotiva incrementa il tono dei muscoli che invece dovrebbero essere rilassati per impattare bene. Una minima alterazione del movimento può determinare una variazione della traiettoria della palla, che a sua volta può causare la perdita del punto.

 

Il tennis agonistico, più di altri sport individuali come la corsa, il nuoto o lo sci, genera fortissime emozioni che il giocatore in competizione deve imparare a riconoscere, capire e gestire. Il rapporto tra prestazione e attivazione dimostra come, all’aumentare del livello di attivazione (desiderio, motivazione, impegno determinazione), la prestazione sale fino a un certo punto, zona ottimale, oltre il quale il livello di prestazione può scendere molto rapidamente fino all’abbandono della lotta per la vittoria da parte del giocatore che si trova in quella condizione. L’elemento più difficile per il tennista è la scoperta dell’insieme dei segnali fisici, tecnici e psicologici che lo indurranno ad innalzare o abbassare il suo livello di attivazione.

 

Una ragione importante per la quale il tennis produce forti emozioni è che il giocatore è il protagonista unico del suo destino. Il giocatore in vantaggio non può aspettare che il tempo scorra per conquistare la vittoria, ma deve essere lui stesso a decidere di agire in un certo modo, per esempio attaccando o giocando in difesa, per vincere l’ultimo punto. L’esperienza però ha reiteratamente dimostrato che il giocatore in vantaggio può essere colto dalla “paura di vincere”, che gli impedisce di fare quello che aveva programmato nella sua mente, e finisce per perdere la partita (nikefobia-paura di vincere).

 

Per fortuna, nel tennis ma anche negli altri sport, se si perde una partita ci sarà sempre un’altra occasione per potersi rifare e vincere quella successiva.

 

Il primo punto da cui partire per lavorare su questa delicatissima parte dell’aspetto mentale è la disponibilità del binomio coach-giocatore a prestare attenzione alle emozioni del giocatore nella consapevolezza che l’emozione non può essere insegnata, ma solo provata, sperimentata e vissuta individualmente da ogni persona. Il dato da cui partire è che le emozioni non sono determinate solo da quello che succede, ma soprattutto da come il giocatore interpreta la realtà che si trova a vivere. Situazione, pensiero, emozione e comportamento sono processi indipendenti, ma che si unificano in un tutt’uno: all’aumento della tensione. Infatti i giocatori non reagiscono agli eventi che capitano loro, ma li selezionano, li interpretano e li giudicano sulla base delle loro idee, convinzioni e giudizi preesistenti.

 

Il primo atto che il coach può compiere, dunque, è quello di insegnare gradatamente a riconoscere le emozioni che si verificano giocando a tennis.

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