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La giovine Italia non vince. Ma piace.

Come prevedibile, nessuno degli italiani passati dalle pre-qualificazioni è riuscito a superare il primo turno. Ma sia lo sfortunatissimo Mager, bloccato dai crampi quando sentiva profumo di successo, sia Berrettini e Napolitano hanno mostrato di avere il tennis per stare a certi livelli. Manca la continuità per raggiungerli, ed è la parte più complessa.
Il bilancio della NextGen tricolore agli Internazionali parla di tre sconfitte all’esordio, ma non scopriamo nulla di nuovo e sarebbe stato strano il contrario. Per questo è meglio guardare oltre e soffermarsi sul lato positivo della faccenda: il Masters 1000 romano ci ha confermato che la merce buona, fra i nostri giovani, c’è. Manca il campione, e magari mancherà ancora per un po’, ma ci sono tanti nomi che possono trasformarsi in buoni giocatori per il futuro, e arrivare chi prima o chi dopo a rimpiazzare Fognini, Seppi e Lorenzi. Magari non fino al numero 13 del mondo, magari non fino a sfruttare il 101% delle proprie possibilità, ma con entrambi i piedi fra i primi 100 sì. La risposta tanto attesa è arrivata dal campo: tutti, a rotazione, avevano già mostrato potenzialità interessanti e l’hanno ribadito nel palcoscenico più importante, dove sapere giocare a tennis non basta, perché servono anche nervi e carattere. Ed è quello che i nostri hanno dimostrato, confermando che il prodotto è già buono. La palla per giocare a livello ATP c’è, per tutti. Da Sonego che ha infiammato il Pietrangeli contro Almagro, a Berrettini. Da Mager che contro Aljaz Bedene ha giocato alla grande prima che i crampi gli strappassero di mano un successo più che meritato, a Stefano Napolitano, bravo a tenere il ritmo di Viktor Troicki per un bel primo set, con tanto di due chance consecutive per chiuderlo 7-5. Lì Troicki ha fatto l’ex numero 12 del mondo, sparando due servizi vincenti di fila, e a Napolitano sono bastati un paio di errori in avvio di tie-break per perdere il treno decisivo, fino ad arrendersi 7-6 6-2 con un break in apertura e uno in chiusura di secondo set . Ma fa parte del gioco contro i più forti: quello che a certi livelli fa la differenza, e al quale i nostri non sono abituati. Tuttavia, chi dice che i giovani “buoni” ci sono non ha torto. Quello che manca non è la qualità, e nemmeno la quantità, ma la continuità. Giocare (bene) un match a questi livelli è una cosa, starci 30 settimane all’anno è ben altro paio di maniche. Ed è su quello che i nostri hanno bisogno di lavorare, per costruire una base solida per giocare bene tanti tornei, uno dopo l’altro. Le potenzialità ci sono, ma prima bisogna darsi la possibilità di sfruttarle. Altrimenti servono a poco.
QUESTIONE DI GAMBE: FOOT FAULT E CRAMPI
Fra tutti gli azzurri visti fra qualificazioni e tabellone principale, lo scettro del migliore va a Gianluca Mager: magra consolazione per un brutto scherzo della sorte che farà fatica a cancellare dalla mente. Perché fino al 7-6 4-3 e servizio il numero 362 del mondo ha giocato meglio di Aljaz Bedene, sotto ogni singolo aspetto, e ha mancato il 5-3 solamente per un banale “foot fault” su un servizio vincente, che l’ha fatto pensare e ha rimesso tutto in discussione. O perché non c’era modo peggiore di dire addio al grande obiettivo di affrontare Novak Djokovic al secondo turno, con le lacrime agli occhi e un crampo alla coscia sinistra che l’ha immobilizzato sul 4-5 0-30. Bedene gli aveva appena recuperato il break concesso in apertura, ma il 23enne sanremese era ancora pienamente nel match. È crollato a terra, e in un colpo solo ha visto sparire una torta alla quale mancava solo la ciliegina, costruita con un match di spessore, senza paure e sempre col piede sull’acceleratore, con un rovescio lungolinea supersonico e la capacità di giocare benissimo nelle situazioni delicate. Il più forte dei due sembrava lui, sotto due volte di un break nel primo set e poi a segno di freddezza nel tie-break, e poi subito avanti di un break in avvio di secondo, come fanno i big. Ma da quando la sua gamba ha deciso di fermarsi dopo solo un’ora a 47 minuti (“è la tensione, ho giocato tanti match di tre ore senza mai un problema”, avrebbe detto successivamente) non c’è più stato modo di continuare. Bedene e il giudice di sedia Arnaud Gabas (noto per la “pallata” di Shapovalov) l’hanno aiutato a rialzarsi per due volte, ma dagli sguardi che Mager rivolgeva al suo angolo si è capito subito che il match era finito lì. Ha perso due punti e il set, poi è tornato negli spogliatoi per vedere se quattro passi lo potevano aiutare, ma al rientro non si poteva muovere. E dopo tre game ha detto addio a match e sogni di gloria, mentre Bedene chiedeva al pubblico di applaudire lo sconfitto, e non il vincitore premiato ingiustamente dalla sorte. Ora per Mager è il momento della delusione, cocente, ma passerà. Ed è quando la sfortuna non ci metterà lo zampino che dovrà farsi trovare pronto.

MASTERS 1000 ROMA – Primo turno
Aljaz Bedene (GBR) b. Gianluca Mager (ITA) 6-7 6-4 3-0 ritiro
Viktor Troicki (SRB) b. Stefano Napolitano (ITA) 7-6 6-2
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