Qualche anno fa, nel tentativo di creare un personaggio, gli americani l'avevano definita “La Nuova Serena Williams”. Era bastato poco: pelle nera, qualche buon risultato e la vittoria in uno scontro diretto, peraltro in uno Slam (Australian Open 2013). Ma ben presto si è capito che Sloane Stephens non avrebbe potuto reggere quel ruolo. Mica per colpa sua: semplicemente, un'altra Serena non nascerà tanto facilmente. Sloane è tornata protagonista nel giorno in cui è arrivata, per davvero, l'erede di Serena, primogenita della Williams e di Alexis Ohanian. “Che bello, tanti auguri, sono sicuro che avremo una bambina in giro per il tour” ha detto la Stephens dopo la vittoria su Ashleigh Barty, l'ennesima di un'estate da protagonista. Ferma per quasi un anno, la Stephens è tornata a Wimbledon e le sono bastate poche settimane per ritrovare la sua forma migliore: semifinale a Toronto, semifinale a Cincinnati, adesso ottavi a New York dopo un match impeccabile contro Ashleigh Barty, un 6-2 6-4 senza storia che la propone come possibile protagonista, quasi cinque anni dopo la clamorosa semifinale in Australia. Forte di una palla pesante e la voglia di spaccare tutto, tipica di chi ritorna da un infortunio, negli ottavi se la vedrà con Julia Goerges, altra giocatrice “on fire”. “Abbiamo sempre avuto match duri, tra l'altro le ultime due volte che l'ho affrontata era il mio secondo match di giornata”. Sloane si è bloccata un anno fa, dopo le Olimpiadi di Rio de Janeiro, per una frattura da stress al piede. Sperava di tornare per i primi tornei del 2017, ma il problema si è rivelato più grave del previsto, tanto da costringerla a un'operazione chirurgica. Qualcuno ha temuto che potesse essere la pietra tombale per una carriera da top-player, un po' come successo a Laura Robson.