Nel Libro Terzo del Regolamento Organico FIT, Capo 1 “tesseramento e tessere”, Articolo 81, si legge che:
1. “Per partecipare all'attività sportiva l'interessato deve possedere ed esibire all'Ufficiale di gara preposto la tessera atleta o la tessera atleta non agonista del settore a cui appartiene la manifestazione”.
… ma aggiunge che:
2. “Chi non è in grado di esibire la tessera atleta, pur essendone in possesso:
a) non può essere ammesso a partecipare a gare valevoli per i Campionati nazionali individuali;
b) può essere ammesso a partecipare ad un singolo torneo previa dichiarazione scritta di possesso della tessera e versamento della tassa a fondo perduto […].
«Ragionando per assurdo – dice Azzolini – nel seguire il ragionamento del Collegio di Garanzia del CONI emerge che se, pur non avendo la tessera, io dichiaro sub iudice di averla e (illegittimamente per difetto dei presupposti) mi viene consentito di disputare un torneo, per questo sono titolare del rapporto giuridico-sportivo con la FIT? Ci si accorge che così facendo non esiste più un limite.
Da domani, un qualsiasi giocatore di un qualsiasi sport risulta tesserato per una società sportiva perché all’arbitro o all’organo di controllo regolamentare è sfuggito che è stato schierato, pur in assenza di tesseramento?».
Il Collegio di Garanzia del CONI sembra effettivamente avere scritto una sentenza dimenticandosi delle tante implicazioni di carattere complessivo che la decisione comporta. «Sotto il profilo giuridico – dice l’avvocato Azzolini – si tratta di una decisione dalle conseguenze imponderabili. Il fatto che il Collegio di Garanzia del CONI, che nella giustizia sportiva dovrebbe essere il massimo organo di interpretazione giuridica, scriva una sentenza del genere, fa riflettere». Come già accennato, lo stesso Azzolini aveva chiesto espressamente che da parte del Collegio di Garanzia del CONI venissero acquisiti i fascicoli integrali relativi ai due gradi di giudizio Federale, mentre
il Collegio ha deciso di confermare la sentenza di primo grado, senza avere preventivamente acquisito e consultato i documenti dei procedimenti precedenti. Come mai non esaminare le carte precedenti, e poi esprimersi sulla “presunzione” del fatto che la Giorgi avesse la tessera FIT?
«Il Collegio di Garanzia del Coni, in base al Codice, dovrebbe limitarsi ad una valutazione circa la corretta applicazione delle norme di diritto, nell’ambito del processo sportivo federale. Non mi pare che nel caso di specie ciò sia avvenuto, ed anzi mi pare che si sia giunti ad una conclusione sbagliata partendo da una premessa sbagliata, a seguito di un ragionamento teorico basato su di una presunzione. In recenti casi, diversamente da quanto avvenuto per Camila Giorgi, il Collegio di Garanzia ha addirittura adottato “provvedimenti istruttori”, ed acquisito documenti al giudizio di legittimità.
Mi pare che ci sia scarsa coerenza, e una applicazione delle regole ondivaga. O è un giudizio di legittimità, o è un terzo grado di giudizio di merito. Mi pare che nel caso specifico non si siano voluti far carico di approfondire il problema del tesseramento, in quanto per lo sport potrebbe rivestire conseguenze importanti. La mia sensazione è che si sia prima presa una decisione, e poi cercata la motivazione alla decisione presa. Mi limito a questa considerazione: in presenza di un espresso dubbio circa una situazione legata al merito della vicenda (l’esistenza del rapporto di tesseramento), a mio avviso il Collegio non avrebbe potuto definire il giudizio, ma avrebbe dovuto comunque rimandare gli atti alla Corte di Appello federale per gli accertamenti di merito. Il Collegio ha invece ritenuto che la questione andasse impostata diversamente da quanto fatto dalle parti: è ben singolare.
Con la teoria della “dualità” rapporto giuridico–tessera, si è evitato un approfondimento della tematica, che per la Fit avrebbe avuto qualche imbarazzo».
La questione, però, ha aperto un precedente pericoloso. «Se si ignorano le regole che disciplinano l’attività internazionale, e ci si arroga il diritto di assoggettare una atleta a delle regole alle quali non dovrebbe essere soggetta penalizzandola anche economicamente,
si toccano i diritti soggettivi di una persona in maniera pesantissima e con modalità che finiranno sicuramente per meritare una riflessione in sede di giustizia ordinaria. La Giustizia sportiva costituisce strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, irrilevanti per lo Stato ma non oltre: la libertà di erogare o meno una prestazione professionale, quale è quella di un atleta di qualunque livello, si pone sul piano della libertà individuale e del diritto soggettivo. Un onore quale quello di giocare in nazionale, non può a mio avviso essere trasformato in un obbligo: a meno che non vi sia un chiaro ed identificato rapporto contrattuale (sia esso il tesseramento, sia esso un contratto oneroso).
Confesso di non avere ancora compreso la differenza tra rapporto di tesseramento e tessera, nel senso inteso dal Collegio: il problema giuridico è se l’atleta ha espresso la volontà di tesserarsi o meno. Ma porsi il problema in questi termini, equivaleva a dare una soluzione opposta al problema, visto che Camila Giorgi non ha nessun bisogno di tesserarsi per svolgere la propria attività. Mi pare che si sia stabilito il principio per cui un atleta professionista, per il solo fatto di svolgere la propria attività professionale oltre i confini nazionali, abbia in essere un rapporto giuridico vincolante coattivo con la federazione sportiva nazionale. Dal punto di vista tecnico, mi pare una evidente forzatura, da quello sportivo ancora di più solo considerando che
lo statuto Coni vieta il tesseramento individuale, e nessuno può imporre ad una persona l’adesione coattiva ad una associazione sportiva. Uno sportivo professionista è a tutti gli effetti un libero professionista, e quindi ha diritto a tutte le tutele del caso: compresa quella di scegliere di non erogare una prestazione. La sentenza in esame a mio avviso rischia di diventare
l’emblema di una schiavitù 2.0, dove un atleta è obbligato ad una prestazione anche contro la propria volontà, in assenza di un chiaro vincolo giuridico, contrattuale o di adesione».
Se prima della chiacchierata con l’avvocato Azzolini i dubbi erano tanti, ora sono addirittura di più. E non solo: durante l’intervista
sono emersi tanti altri spunti interessanti sulla questione, secondari nella valutazione del caso Giorgi ma meritevoli di approfondimento. In particolare, ci sono parsi interessanti alcuni aspetti relativi alle modalità di convocazione delle giocatrici esposte nel corso del processo da Corrado Barazzuti, oltre al fatto che la stessa Giorgi abbia ricevuto – pur senza essere tesserata – dei contributi costituiti anche dalle tasse versate da affiliati e tesserati. In più, ha avuto a lungo anche la possibilità di allenarsi al Centro Tecnico Federale di Tirrenia, con un coach (il padre) sprovvisto di qualsiasi riconoscimento, quando le normative della stessa FIT
impongono che per allenare atleti con classifica ATP o WTA serva addirittura la qualifica di Tecnico Nazionale. In funzione della convenienza può diventare tutto bypassabile? Non perderemo l’occasione di tornare sull’argomento.
L'ITER PROCESSUALE DEL CASO GIORGI
Primo grado: DECISIONE -
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Appello: DECISIONE -
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Collegio di garanzia: DECISIONE -
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