Marco Caldara
07 December 2016

L’evoluzione di Safin: da impulsivo a pensatore

Una volta spaccava racchette a ripetizione e si divertiva fino a tarda notte anche alla vigilia degli incontri, mentre oggi Marat Safin è un uomo diverso. È entrato in politica, e riflette con serenità sul suo passato. “A volte ho portato i limiti un po’ troppo in là”. Kyrgios? “Ha bisogno di tempo. La vita è un percorso: si impara dal primo all’ultimo giorno”.
È abbastanza comune, fra gli appassionati di lunga data, il pensiero che il fenomeno Roger Federer non sarebbe diventato il fenomeno Roger Federer se Marat Safin avesse fatto un po’ più il tennista e un po’ meno il… Marat Safin. Eppure, se a sette anni dal suo addio al circuito l’ex campione russo è ancora ricordato da tutti con grandissimo affetto, vuol dire che il modo per lasciare il segno l’ha trovato comunque. E pazienza se non è stato a suon di Slam, solo due (il solo, per uno col suo tennis, è d’obbligo), o per una facilità di gioco da fare invidia a tutti gli attuali top ten, ma per un carisma con pochi altri eguali nella storia del tennis. Safin era così: famoso per l’abitudine di preferire le belle donne agli allenatori, in campo era solito spaccare una media di 80 racchette all’anno, litigare con gli arbitri e rendersi spesso protagoniste di sfuriate, mentre fuori amava divertirsi fino a tarda notte, anche alla vigilia degli incontri. Basti pensare che durante gli Internazionali d’Italia del 2004 scampò all’incendio divampato intorno alle 5 di mattina all’Hotel Parco Dei Principi del quartiere Parioli (che fece anche 3 morti, ma nessuno ospite per il torneo) semplicemente perché quella notte... non era rientrato in hotel.
Tuttavia, chi lo conosce bene l’ha sempre descritto come un ragazzo intelligente e capace di usare la testa (chiedere a Romano Grillotti, giudice di sedia di mille discussioni ma sempre con grande rispetto reciproco, ndr) e la recente piega presa dalla vita dell’ex numero uno del mondo non fa altro che confermarlo. Da quando ha appeso la racchetta al chiodo è entrato nel Comitato Olimpico russo, e nel 2011 si è lanciato a tutti gli effetti in politica, eletto al parlamento per il partito Russia Unita di Vladimir Putin. In questi giorni, Safin è a Singapore per l’IPTL, e in un’intervista ha raccontato proprio il netto cambiamento fra passato e futuro, condannando in parte alcuni dei suoi comportamenti. “Ero un po’ estremo – ha detto Marat, primo russo a entrare nella Tennis Hall of Fame di Newport – ma sono fatto così. Nelle mie sfuriate non c’era rabbia, non ce l’avevo con nessuno. Era solo un modo di esprimermi. Stavo bollendo dentro, quindi faticavo a tenere per me certe cose. Guardando indietro non apprezzo del tutto ogni cosa che ho fatto. Però apprezzo molto la gente che non mi ha mai giudicato per certi comportamenti: l’hanno presa nel modo giusto, anche se spesso ho spinto il limite un po’ troppo in là”.
Fa un certo effetto, oggi, sentirlo parlare di Nick Kyrgios. È vero che lui al numero uno ATP ci è arrivato, ma è il primo a sapere che avrebbe potuto fare ben altro. “Credo che Kyrgios (conosciuto proprio all’IPTL, ndr) sia un bravo ragazzo, con la luce dentro e un cuore grande. Bisogna dargli il tempo per maturare e imparare a convivere con le pressioni, una delle parti più complicate della vita di un professionista. Per sopravvivere a questo mondo è fondamentale il supporto di un team adeguato, che deve saperti dire la verità anche quando non è quella che ti piacerebbe sentire, per permetterti di andare avanti. Col tempo, si impara a circondarsi delle persone giuste. Il tennis è una linea molto sottile: è facile passare da un atteggiamento che permetta di imparare dai propri errori a una crisi interiore che fa perdere l’emozione nei confronti di questo sport. Bisogna imparare ad accettare che qualcosa possa andare storto, e che la verità possa far male, ma aiuta a maturare. La vita è un percorso in cui si impara continuamente qualcosa, dal primo all’ultimo giorno”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA