Marco Caldara
17 January 2018

La chiamano luck, ma la fortuna non c'entra

Polo da uomo, capelli corti e ottime geometrie: è l'identikit di Luksika Kumkhum, la qualificata che ha lasciato 4 game a Belinda Bencic, riportando la bandiera thailandese al terzo turno dell'Australian Open dopo 15 anni. Allenata da mamma e papà, non ha avuto paura a dichiarare la propria omosessualità, lei che il match più importante in carriera l'ha vinto... sulla Margaret Court Arena.
Adora farsi chiamare “luck”, che inglese significa fortuna, ma Luksika Kumkhum non è il tipo che sta al varco ad aspettare un aiutino dalla sorte. Il ricordo più dolce della sua carriera era la vittoria del 2014 a Melbourne contro Petra Kvitova, ma l’aveva parzialmente rovinato in fretta perdendo al secondo turno, così aveva fatto una promessa alla sua famiglia, giurando che prima o poi sarebbe andata più in là. Ha dovuto aspettare quattro anni ma ci è riuscita, di nuovo sui campi blu delll’Australian Open, da numero 124 del mondo, battendo Belinda Bencic con un sonoro 6-1 6-3 e diventando una delle qualificate approdate al terzo turno nella parte bassa del tabellone, insieme alla stellina Marta Kostyuk e alla ceca Denisa Allertrova. Fra le tre, la copertina della terza giornata dell’Australian Open spetta a lei, perché la Bencic era in serie positiva da 16 incontri e aveva giocato un grande match all’esordio contro Venus Williams, tanto da essere tenuta in forte considerazione sia dagli organizzatori (non a caso il loro match è stato programmato sulla Hisense Arena) sia dai bookmaker, che pagavano il suo successo finale al pari di quelli di giocatrici molto più blasonate. Invece il cammino della svizzera verso un rapido ritorno ad alti livelli si è inceppato in un match senza storia, dominato dalla Kumkhum. La 24enne thailandese ha perso la battuta in avvio di entrambi i set, ma si è ripresa in fretta e poi è stata superiore.
L'INFLUENZA DI MONICA SELES
Il look da antidiva della tennista asiatica, con la polo da uomo e i capelli corti, fatica a rubare l’occhio, ma nel braccio e nella testa di Luksika c’è un tennis divertente e particolare, con diritto e rovescio a due mani. I suoi colpi sono chiaramente ispirati al suo idolo d’infanzia Monica Seles, anche lei bimane da ambo i lati, ma nel suo bagaglio tecnico costruito in famiglia (il padre Lersak le fa da coach, la madre Jaruwan è l’allenatrice in seconda) c’è un po’ di tutto. Il finale del diritto, con la racchetta sopra la testa, ricorda addirittura quello di Rafael Nadal, e Luksika sa anche muovere benissimo la palla, trova gli angoli giusti, usa a dovere lo slice, sa giocare a rete. È così che ha trovato ben 30 colpi vincenti, spedendo la Bencic a fare la valigie in un’ottantina di minuti. Una superiorità tale che sorprende eccome scoprire che una col suo tennis e la sua facilità di gioco non è mai andata oltre la posizione numero 85 della classifica WTA, raggiunta nel 2014. Oggi è numero 124, ma grazie a cinque vittorie consecutive è già certa di tornare fra le prime 100. E soprattutto – in attesa di Naomi Osaka e Su-Wei Hsieh, entrambe in campo domani ed entrambe sfavorite – è l’unica asiatica ad aver conquistato un posto fra le migliori 32 di quello che, come recita la dicitura che accompagna il logo del torneo, non è considerato solo lo Slam dell’Australia, bensì dell’intera Asia Pacifica, che comprende anche la sua Thailandia. “La Bencic aveva sconfitto Venus Williams – ha detto col suo inglese tremolante – e sapevo che per avere chance di batterla mi serviva un gran match. Avevo già perso al secondo turno due volte, e ho continuato a dire ai miei famigliari che avrei con
QUELLA VITTORIA SULLA MARGARET COURT ARENA
Era dal 2003 che una giocatrice tailandese non arrivava così lontano a Melbourne Park, dai tempi dell’ex top-20 Tamarine Tanasugarn
, oggi al servizio di Fox Sport Asia insieme a Daniela Hantuchova. Lo scorso anno Luksika da Chanthaburi, piccola città di mare con meno di 30.000 abitanti, si era guadagnata una wild card vincendo i play-off asiatici, mentre stavolta è stata costretta a passare dalle qualificazioni, ma l’ha fatto alla grande. Al turno finale ha sconfitto Sara Errani e all’esordio nel main draw ha battuto Johanna Larsson, in una curiosa sfida fra due delle pochissime tenniste che non hanno avuto paura a fare coming out, dichiarando la propria omosessualità. Vien da chiedersi come sarebbe andate se entrambe fossero state più note, e se invece del piccolo Campo 14 il loro match avesse meritato la Margaret Court Arena, dove quattro anni fa la Kumkhum battè la Kvitova, e il cui nome è sempre più in discussione dopo le varie affermazioni dell’ex campionessa contro gli omosessuali e contro la scelta del suo paese di aprire ai matrimoni gay. Qualche giocatrice aveva balenato l’ipotesi di un boicottaggio del campo, ma almeno per ora – anche grazie alla decisione della Court di non presentarsi al torneo – la questione sembra finita nel dimenticatoio. Buon per la Kumkhum: può concentrarsi al 100% sul suo tennis, con l’augurio di riuscire a calcare presto l’Arena della discordia. Polemiche a parte, vorrebbe dire che il suo Australian Open non si sarà fermato contro Petra Martic, avversaria venerdì per un posto nella seconda settimana.
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