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Marco Caldara
04 January 2018

Margaret Court rifiuta l'invito dell'Aus Open

Malgrado Tennis Australia abbia deciso di non cambiare nome alla Margaret Court Arena, nonostante le numerose pressioni dopo i commenti anti-gay dell'ex campionessa, miss 62 Slam ha fatto sapere che quest'anno non sarà a Melbourne Park. Passerà qualche giorno a pescare, e sfida il (possibile) boicotaggio del campo a lei dedicato: "sarebbe meschino e infantile".
La febbre Australian Open 2018 aumenta giorno dopo giorno, e i temi del torneo al via fra una decina di giorni saranno veramente tantissimi. C’è il ritorno di Serena Williams, quello (ancora presunto) di Novak Djokovic, il caso Tomic, ma anche la questione legata al nome della Margaret Court Arena, criticato da molte giocatrici dopo le affermazioni contro l’omosessualità da parte dell’ex campionessa australiana. La situazione è nota da anni: la Court, profondamente cristiana, è fermamente contraria ai matrimoni gay, e in barba all’opinione pubblica australiana – in prevalenza favorevole alle unioni fra persone dello stesso sesso – ha spesso usato parole forti, sputando sentenze a destra e a manca senza mai tornare sui propri passi. Di recente è arrivata anche a dire che lo spogliatoio WTA sarebbe popolato di lesbiche, le quali – a detta sua – avrebbero addirittura un’influenza negativa sulle giovani del circuito. Dichiarazioni che hanno scatenato reazioni e proteste fra le giocatrici, tanto che alcune (con Sam Stosur in prima linea) hanno minacciato di non voler giocare su un campo intitolato a una persona che la pensa in quel modo. Da parte degli organizzatori è stata ridiscussa la possibilità di cambiare nome al secondo stadio (per capienza) dell’impianto di Melbourne Park, rimesso a nuovo per l’edizione del 2015 del torneo, ma nonostante le enormi pressioni dall’esterno non se n’è fatto nulla. Dalle parole del CEO Craig Tiley, Tennis Australia ha preso le distanze dalle dichiarazioni della Court, definendole non in linea con la loro politica inclusiva, ma per ora ha avuto ancora la meglio l’importanza dei risultati ottenuti sul campo da tennis.
RIFIUTATO L'INVITO DEL TORNEO
Lo spessore della carriera della Court è un macigno difficile da spostare, visto che tutt’ora è in testa alla classifica dei più vincenti nei tornei del Grande Slam, con 24 successi in singolare e 62 titoli complessivi, aggiungendo anche doppio femminile e doppio misto. Addirittura Billie Jean King, da sempre in prima linea nella lotta contro maschilismo e omofobia, aveva detto nel 2012 (la questione tiene banco almeno da una manciata d’anni) che nonostante le opinioni dell’ex collega cambiare nome allo stadio sarebbe stato come calpestare tutti i suoi trionfi. Anni prima la King aveva addirittura spinto perché il nome della Court avesse la stessa dignità di quello di Rod Laver, al quale è intitolato il Centrale di Melbourne Park, anche se dopo il polverone sollevato nel 2017 ha fatto sapere di essere piuttosto combattuta sulla questione. La notizia delle ultime ore è che, malgrado il classico invito al torneo da parte della Federazione, la Court ha già confermato di non aver intenzione di presenziare, per la prima volta dopo tantissimi anni. La 75enne oggi residente a Perth ha fatto sapere che invece di volare a Melbourne passerà qualche giorno a pescare, ma non ha perso l’occasione per rispondere nuovamente alle critiche piovute dalle giocatrici attuali, spiegando che un eventuale boicottaggio dei match nell’Arena a lei dedicata potrebbe riflettersi in negativo sulle stesse giocatrici. “Credo – ha detto – che boicottare i match sarebbe qualcosa di meschino, la dimostrazione di cosa c’è nel cuore dei tennisti. Lo troverei un comportamento davvero infantile, ma non dipende da me e non mi toccherà”. Non paga, ha detto anche che quella dei matrimoni gay è solamente una moda, e che l’Australia finirà per pagare la scelta di liberalizzarli. Fortuna che ha scelto di non farsi vedere al torneo: l’impressione è che, almeno verbalmente, la situazione sarebbe potuta sfuggire di mano.
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