12 March 2014

Pennetta: la campionessa della porta accanto

A 32 anni, la brindisina è una giocatrice realizzata. Ha vinto 9 tornei Wta in singolare, 15 in doppio, ha alzato quattro Fed Cup e raggiunto la semifinale agli ultimi Us Open, oltre ad aver vinto un Grande Slam con l’amica Gisela. Oggi è una giocatrice felice che, nonostante i successi, è rimasta la ragazza di sempre. Che ha ancora voglia di giocare e che desidera, per il futuro, “essere un esempio per tutte, non soltanto come atleta ma anche come donna” ... di MAX GRASSI

Parte 1

di Max Grassi

E' una Milano insolitamente assolata, quella che fa da cornice al nostro incontro con la signorina Pennetta. Una città che la 31enne brindisina conosce molto bene per averci vissuto tre anni, agli esordi da “pro”, quando ragazzina venne alla corte di Barbara Rossi e Maurizio Riva per imparare a muovere i primi passi sul circuito.

“Ho dei bellissimi ricordi di Milano. Mi ha insegnato cosa vuol dire sacrificarsi per ottenere un risultato. Ogni giorno mi facevo ore di metropolitana e questo mi ha aiutata a crescere”.

Nel 2013 Flavia, prima a New York, dove ha ottenuto il suo miglior risultato Slam (semifinale), poi a Cagliari, dove ha vinto la sua quarta Fed Cup, è tornata ad assaporare il profumo delle grandi imprese. E non era per niente scontato visto che, oltre all’operazione allo scafoide del polso destro dell’agosto 2012, ha dovuto anche ricostruire il rapporto con il coach, dopo l’addio di Gabriel Urpi. Salvador Navarro “aveva un compito difficile, sostituire il tecnico con cui sono cresciuta. Lui è un ‘talebano’. Detta le regole e non si sgarra. Punto. E’ riuscito a mettere in riga anche mio padre”.

Ride spesso, Flavia. Segno che la sua vita le piace e la soddisfa. Si è lasciata alle spalle le nubi cariche di pioggia del suo passato e può andare incontro al futuro con lo sguardo sicuro di chi sa di avere già superato le cime tempestose. “Quando si ricerca troppo qualcuno che non c’è più poi si finisce per perdersi” ci ha confidato. A lei è successo. Ma oggi non ha più pensieri che l’assillano e può concentrarsi semplicemente su quello che ama: giocare a tennis.

- Due anni fa hai dato alle stampe un’autobiografia molto diretta e autentica. Quanto ti è costato emotivamente metterti in gioco?

“Emotivamente poco. Certo mi sono ritrovata a scavare nel mio passato. Però, ad essere sincera, è stato bello perché ho ritrovato tanti episodi che pensavo di avere scordato. Semplicemente non ci fai più attenzione. Ripensi a dei momenti, frammenti di vita, e ti dici: ‘mamma mia che ho fatto!’. E questo ti aiuta anche nelle scelte che ancora devi fare. E’ un po’ come fare un’analisi. Solo che non devi pagare (ride, ndr.)”.

- Racconti tanto dei tuoi amori. Neanche un po’ d’imbarazzo?

“Ma no, perché alla fine le mie esperienze sono quelle di tante ragazzine di sedici anni. Ok, noi tenniste siamo famose. Però famose tra virgolette perché siamo persone normali. I primi amori, le prime delusioni, son sempre quelle, comuni a tutti. Che io sia una giocatrice di tennis o meno”.

- Sul nostro giornale abbiamo recentemente scritto che gli straordinari traguardi del nostro tennis rosa sono figli del primo grande ostacolo superato: quando nell’agosto del 2009 hai rotto il muro delle top 10.

“Sicuramente è stato un input molto importante. Sono certa che ha spronato le altre. Alla fine, il nostro è un continuo rincorrersi. Una fa un risultato, l’altra cerca di migliorarlo. Tra di noi è così”.

- Quest’anno hai chiuso al numero 31 del ranking Wta. Un posto dopo c’è la canadese Eugenie Bouchard che è nata lo stesso tuo giorno (25 febbraio) ma dodici anni prima.

“Non lo sapevo. Ma perché me l’hai detta ’sta cosa, che mi deprimo (ride, ndr.)”.

- Perché volevo sapere, da veterana quale ora sei, cosa pensi delle nuove leve e come è cambiato il circuito in questi tuoi 14 anni di professionismo?

“Ah, è cambiato molto. Ho vissuto un primo cambio generazionale e adesso ce n’è uno ancora nuovo. Il gioco è diventato molto più fisico. Prima c’era più varietà. Anche le nuove leve hanno un tipo di gioco molto lineare, molto pulito. Molto simile al mio, a dire la verità, perché anche io non è che poi abbia tutte queste variabili. Il nome che tu hai fatto - la Bouchard - arriverà molto lontano. Avrà un’alta esposizione mediatica perché è anche molto bellina, oltre che di aspetto anche nei modi. Quindi, non dico che sarà la prossima Sharapova, ma quello è il suo cammino”.

- Condividete anche questo tu e lei allora, oltre che il compleanno...

“Dici? Solo che lei è bionda e io mora (ride, ndr.)”.

Parte 2

di Max Grassi

 

- Mi dici una top player che ti piace affrontare e perché? E una che invece non sopporti?

“Agnieszka Radwanska. Non mi piace perché è un muro e ha sempre soluzioni originali. Ecco, lei è un’altra mai banale. Sembra non ti faccia mai male e invece te ne fa sempre. Invece mi piace giocare con Sam Stosur, perché il suo gioco riesco a controllarlo quindi, tra le più forti, è quella che preferisco”.

- La tua presidentessa, Stacey Allaster, ha detto: “Le giocatrici sono pronte e favorevoli a giocare 3 su 5 se gli organizzatori dello Slam lo vogliono. Tutto quello che devono fare è chiedercelo”. E’ vero?

“Certo. Se mi dicono che devo giocare al meglio dei 5 set lo faccio, però non penso sia corretto. Le caratteristiche di noi donne non sono paragonabili a quelle di un uomo”.

-A tuo avviso è più semplice che le ragazze giochino al meglio dei 5 set o che anche gli uomini finiscano per giocare gli Slam al meglio dei tre set?

“I maschi in tre set. Se vuoi la mia opinione è anche più sano, forse. A livello fisico intendo”.

- Sei tornata anche a vincere in doppio, a Osaka, in coppia con la francese Kristina Mladenovic.

“L’amore per il doppio non l’ho mai perso. Per me è importante almeno quanto il singolo. Come hai detto tu era tanto tempo che non vincevo un titolo. Con Kristina mi trovo bene e molto probabilmente giocheremo insieme anche il prossimo anno. Devo ricostruire quel feeling che avevo con Gisela (Dulko, la storica compagna di doppio con cui ha vinto gli Australian Open nel 2011 e che si è ritirata alla fine del 2012, ndr.)”.

- Quasi tre anni senza un titolo in doppio per una con il tuo curriculum sono un’enormità. 

“Il problema era che ho perso Gisela (ride, ndr.)”. Però con Kristina mi trovo davvero bene. Abbiamo giocato tre tornei, con buoni risultati. Lei è giovane, ha solo 20 anni e un margine di crescita molto ampio. In più è una che dà la stessa importanza al singolo e al doppio e questo per me è fondamentale perché io l’ho sempre fatto. Non sopporto di giocare con qualcuno che, magari perché va avanti in singolare, trascura il doppio”.

- La tua storia è fatta di tante resurrezioni. Da quando giovanissima hai preso il tifo fino all’operazione al polso destro dello scorso anno. Hai dovuto spesso ricominciare più volte tutto da capo. Questi infortuni ti hanno aiutato a diventare una giocatrice migliore o ti hanno soltanto fatto perdere tempo?

“No, tutte le cose vengono per un motivo. Niente avviene per caso. Vedo sempre il percorso come qualcosa di positivo. Sicuramente”.

- Il tuo rapporto coi social network è molto attivo. Seguendoti su twitter si ha un po’ la sensazione di girare il circuito con te, segno che ti diverti a condividere con la gente le tue esperienze. E’ stata una tua iniziativa o, all’inizio, ti hanno consigliata in questo senso?

“No, macché. Gisela mi ha fatto una testa quanto una casa. Ha fatto tutto lei. E’ merito suo”. 

- Dovessero decidere di girare un film sulla tua vita...

“Dovrebbero farne uno sulle imprese di Fed Cup, ci sarebbe da divertirsi”.

- Ma se facessero un film tratto dal tuo libro “Dritto al cuore” che attrice sceglieresti per il ruolo di Flavia?

“Questa è una domanda difficile... Ci sono: Anne Hathaway. Mipiace lei.Però dovrei darle qualche lezione di tennis”. 

- Ha mai pensato di smettere?

“Sì, certo. C’è stato un momento duro in cui ho pensato di lasciare tutto e avevo cominciato a pensare ad altro. Mi ero già data un obiettivo ma poi con il tennis è andata meglio e di conseguenza quell’idea è stata messa da parte. Ma è solo rimandata. Le persone che mi stanno intorno mi hanno aiutata a superare le difficoltà ma arriverà il giorno in cui dovrò costruirmi una vita là fuori. Non sono più una ragazzina, per cui smettere non sarebbe una tragedia”.

- Ti piacerebbe, un domani, fare il capi- tano di Fed Cup?

“Sì. Mi vedo bene in questo ruolo. Sono pronta per un impegno del genere”.

- Senti, il genio della lampada ti offre la possibilità di vincere un ultimo torneo: quale scegli?

“Due, uno non mi basta. Un Grande Slam e Roma”.

 

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