Cominciai dunque ad evitare Sergio Tacchini, e mi chiesi se mi avrebbe davvero citato per danni, come aveva annunciato a un amico comune, il notaio Gilardelli. Cercavo di puntellare la mia fiducia incrinata, dicendomi che, prima di Sampras, avevo visto in fasce Rosewall e Santana, Roche e Laver, e ne avevo intuito l’indubbio talento dai vagiti. Pete Sampras era invece dotato di una qualità poco comune, in questo tennis di mostruosi bambini prodigio. Era un tipo normale, cresceva tranquillo, vittorie e sconfitte andavano e venivano come i foruncoli sulle sue guance di adolescente. All’inizio dell’anno, Pete prese a radersi con regolarità, e a vincere di più. Gli toccò, come battesimo vittorioso l’Indoor Usa, grande torneo un po’ decaduto. All’organizzatrice Marilyn Fernberger che gli presentava i 150 milioni di lire di premio, osservò allegro: «È un gran piacere, ma non sono questi i tornei che davvero contano». L’aveva ammirato, intanto, anche Fred Perry, triplice campione a Wimbledon negli anni Trenta. «Non capisco più niente di questo maledetto gioco se Pete non vince un Grand Slam, e al più presto» affermò, festoso e rubizzo. Era brandy o preveggenza? In simile buona compagnia, mi tolsi la barba finta, e invitai Tacchini a cena. Il rosso di mia produzione parve renderlo generoso. «Quel tuo Sampras non è poi tanto male», finì per ammettere.
LA CARTA D'IDENTITA'
Petros Sampras è nato a Potomac (Maryland), il 12 agosto 1971. Terzogenito dei quattro figli di Soterios e Georgia Vroustouris, il padre è nato negli Usa da padre greco, Costas Sampras, e da madre statunitense di origine ebraica, Sarah Steinberg. La madre è un’immigrata greca originaria di Sparta. Ha cominciato a giocare a tre anni e Peter Fischer, suo maestro fino al 1989 (poi arrestato nel 1998 per violenza su minori), l’ha trasformato in un giocatore di puro attacco, dopo avergli modificato, a 16 anni, il rovescio da bimane a una mano. Gran servizio-dritto-volée-smash, è spesso passata inosservata la sua voglia di lottare, come nel match contro Alex Corretja allo US Open 1996 quando vinse nonostante fosse preda di conati di vomito. In carriera ha vinto 762 dei 984 incontri disputati (77,4%), conquistando 64 titoli (14 dello Slam: sette Wimbledon, cinque US Open e due Australian Open, mentre a Parigi non è mai andato oltre la semifinale del 1996). Nel ranking mondiale è stato numero uno per 286 settimane (dietro solo a Roger Federer, 302) di cui 102 consecutive (quinto all-time). Resta primo assoluto per il numero di stagioni concluse al primo posto, ben sei, dal 1993 al 1998. Ha sempre usato una Wilson Pro Staff Original St. Vincent con tanto piombo ai lati: pesava quasi quattro etti, incordata in budello a 34 kg. Altri tempi. Il 30 settembre 2000 si è sposato con l’attrice Bridgette Wilson (ex Miss Teen Usa e col cognome uguale al suo brand di racchette!). Il 21 novembre 2002 è nato Christian Charles e il 29 luglio 2005 Ryan Nikolaos. Risiede a Lake Sherwood, in California.