Lorenzo Cazzaniga
06 November 2017

Road to Milan - ANDREY RUBLEV

Stilisticamente ricorda Yevgeny Kafelinikov, in campo sta cercando di controllare i colpi di testa tipici del suo idolo, Marat Safin. Dotato di due fondamentali notevoli e un carattere molto deciso, punta a diventare in futuro il numero uno del mondo. «Le nuove regole? Non me ne piace nemmeno una. Uno si allena come una bestia per poi giocarsi tutto in venti minuti?»
ANDREY RUBLEV
Luogo di nascita: Mosca (Russia)
Data di nascita: 20 ottobre 1997
Classifica ATP al 1 gennaio: numero 156
Miglior classifica stagionale: numero 35
Miglior risultato: vittoria ATP 250 Umago, quarti Us Open

(Intervista realizzata durante il torneo di Wimbledon)

IL PERSONAGGIO
«Il tennis mi è sempre piaciuto, fin da piccolo. Non posso nemmeno dire a che età ho realmente cominciato a giocare: mi sembra faccia parte della mia esistenza da sempre e davvero non riesco a immaginare la mia vita senza. Giocavo allo Spartak, dove andavano i miei genitori. Hanno fatto tanti sacrifici per mettermi sempre nelle migliori condizioni di allenarmi. Le altre famiglie passavano l’estate in vacanza? Noi no, sempre a Mosca, sempre a divertirci sul campo. Mosca è la mia città: una volta non vedevo l’ora di scappare via, adesso per me è la più bella del mondo, quella dove passerei il mio tempo libero. Peccato che pensare di allenarsi lì è praticamente impossibile: puoi giocare outdoor tre, quattro mesi all’anno, poi fa veramente troppo freddo. Credo che la Russia abbia davanti a sé un buon futuro: oltre al sottoscritto ci sono anche Daniil Medvedev e Karen Khachanov, che conosco bene perché ci alleniamo nella stessa accademia in Spagna. Tutti abbiamo buone possibilità di diventare dei buoni giocatori. Quanto buoni? Beh, l’idea è quella di diventare il numero uno del mondo. Penso che il circuito sia pieno di giocatori che hanno questo obiettivo, anche se non sempre lo si vuole ammettere. Però ogni volta che scendi in campo lo fai per vincere, per migliorarti e per arrivare in cima. Poi è chiaro che la stragrande maggioranza di chi ha questo obiettivo sbaglia, ma sono ambizioso e voglio provarci con tutte le mie forze. In fondo, che male può fare?»
LA TECNICA
«Qualcuno dice che ricordo Yevgeny Kafelnikov per come colpisco la palla, per i miei movimenti, sia di rovescio sia di dritto (e in effetti c’è una certa somiglianza, che peraltro è il motivo per cui questo ragazzo affascina tecnicamente, pur non avendo ancora mostrato il tocco di palla dell’ex numero uno del mondo N.d.A.) e per me è un gran complimento, visto che lui è arrivato in cima al ranking ATP sia in singolare sia in doppio. Però a me piaceva di più Marat Safin, è lui il giocatore russo al quale mi sono ispirato maggiormente. Ed è anche vero che succede che in campo perda la pazienza come accadeva a lui: qualche parolina vola, qualche racchetta si spezza. Però sto migliorando sotto questo aspetto, anche perché a lui le racchette le regalavano, mentre a me, fin quando sarò 90 al mondo (ma lo sarebbe rimasto poco, ndr) alla seconda volta che mi comporto male arriva l’ammonizione dello sponsor. Ed è giusto così. Tecnicamente stiamo lavorando su tanti aspetti, a partire dal servizio, col quale dovrei fare più punti diretti, a come muovere il gioco visto che riesco a spingere con entrambi i colpi da fondo. E poi la transizione sotto rete, il punto debole di tanti giocatori che pressano da fondo ma non chiudono lo scambio con una facile volée. Però, per poterlo fare, devo avere dei piedi veloci: anche qui sto progredendo anche se ammetto che preferisco stare sei ore sul campo a giocare che due in palestra, soprattutto se c’è da correre. A livello psicologico è più complicato: è vero che ho la tendenza a perdere troppo spesso la testa in campo, ma ora che sto imparando a restare più calmo, talvolta abbasso fin troppo l’intensità del mio gioco. Insomma, devo ancora trovare un buon equilibrio».
IL FUTURO
«Si parla così tanto di questa Next Generation che quasi mi sono stancato pure io! Se qualcuno che ha 20 anni vince un match qualsiasi, ecco che subito partono i titoloni. Basti dire che si parla più del nostro Masters che di quello vero. Mi pare un tantino esagerato perché i top players sono ancora molto lontani e lo stanno dimostrando anche quest’anno. Io sto lavorando duro con Fernando Vicente e Galo Blanco: la Spagna è un’ottima scuola per diventare dei professionisti perché c’è un buon clima, ottimi coach, tanta esperienza e molti giocatori con i quali allenarsi ad alto livello. Credo che i risultati dimostrino sia stata la scelta giusta, anche se c’è ancora molto lavoro da fare. Mi piacerebbe arrivare in alto anche per poter avere più spesso la mia famiglia con me. Mio padre è impegnato nel business dei ristoranti, mia madre insegna tennis; poi ho una sorella e due sorellastre. Non sono la star di famiglia, ci mancherebbe, ognuno percorre la sua strada e una non è più importante dell’altra. Però adesso è ancora complicato farli venire ad un torneo perché ho giocato spesso dei Challenger con un’organizzazione che ovviamente non può essere quella di un Masters 1000. Sarebbe stato solo un casino perché io devo restare concentrato sul mio tennis. Quest’anno spero di giocare più tornei ATP possibili, per alzare il livello dei miei match e imparare in fretta. Non mi dispiacerebbe qualificarmi per le Next Gen ATP Finals di Milano. Però di tutte quelle nuove regole non me ne piace nemmeno una, soprattutto quella che vuole accorciare troppo i match. Ma come, uno si allena come una bestia per poi giocarsi tutto in venti minuti?»

Gli altri protagonisti delle Next Gen Finals:
KAREN KHACHANOV
(Caldara)
DENIS SHAPOVALOV (Bisti)
BORNA CORIC (Caldara)
JARED DONALDSON (Bisti)
HYEON CHUNG (Bisti)
DANIIL MEDVEDEV (Caldara)
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