QUELLA SPARATORIA A LAS VEGAS
L'anca è la stessa parte del corpo che ha bloccato Andy Murray (a proposito: nei prossimi giorni scioglierà i dubbi sulla partecipazione al Queen's e Wimbledon). “Andy ha dimostrato quanto sia delicato – dice la Robson – non è un infortunio facile perché limita ogni attività, sia in campo che in palestra. È un problema che porta ad arrugginirsi. Il dolore è comparso in Australia e ho visto due dottori, ma ho continuato a giocare perché mi avevano detto che era tutto ok. Ma il dolore è rimasto, ho consultato altri medici e mi sono state dette altre cose”. E allora ha ripiegato sul doppio, scelta che le consente di annusare ancora i grandi tornei ma che rischia di diventare un ripiego. Wimbledon 2018 segnerà il decennale del suo successo nel torneo giovanile del 2008. Ragazza esuberante, figlia di immigrati australiani, ha dovuto imparare a crescere sin da ragazzina. “Per fortuna i miei genitori non mi hanno mai messo pressioni. Ogni decisione è stata mia. Quando sei in Cina è perdi per la terza settimana di fila, arrivano pensieri oscuri”. Però ha rimesso in piedi il rapporto professionale con il vecchio coach Martijn Bok, olandese, con cui dice di stare facendo un buon lavoro. Ma i risultati, per adesso, latitano. A ben vedere, si è parlato di lei soltanto per il fatto di cronaca dello scorso ottobre, quando era presente alla drammatica sparatoria presso il Mandalay Bay Hotel di Las Vegas. Stava seguendo un concerto di musica country insieme ad alcuni amici, quando uno squilibrato, Stephen Paddock, ha sparato sulla folla. Sono morte 58 persone, 515 sono rimaste ferite. Una volta commessa la strage, si è ucciso. La Robson è rimasta illesa, ma le cicatrici mentali sono ancora presenti. “È stato qualcosa di folle e sono stata molto fortunata – racconta – non mi piace pensarci ancora. Eravamo di lato, abbiamo sentito tutto, ma eravamo fuori dalla traiettoria dei colpi. Il giorno dopo, mia mamma mi ha abbracciato forte quando mi ha preso all'aeroporto. E i miei cani hanno capito che qualcosa non andava, perché si sono seduti su di me per cinque giorni”. L'esperienza potrebbe darle una mano, restituendole motivazioni un po' smarrite. Ma quel fastidioso infortunio all'anca la sta tenendo ai margini. E allora, gli obiettivi di inizio anno sembrano improbabili. Voleva rientrare tra le top-100 e ritrovare la “migliore versione si me stessa sul campo da tennis”. Per adesso non si è vista. In singolare ha vinto 10 partite e il suo miglior risultato rimane la finale a Perth, in febbraio. E allora il doppio sta diventando qualcosa di più che un'alternativa. Forse è un opzione. Forse è l'unico modo per restare agganciata al tennis che conta.