Marco Caldara
09 January 2018

Alcool, soldi nascosti, voglia di mollare

Si è chiusa a Melbourne la carriera di Sam Groth. Una carriera che sembrava finita già anni fa, invece aveva ancora in serbo le soddisfazioni migliori. Con una splendida testimonianza sul blog Players' Voice, l'australiano ha raccontato sogni, emozioni e difficoltà di uno sport molto meno glamour di quanto appaia.
Melbourne Park, Show Court 3, quarto match dalle dieci del mattino. Per l’Australian Open sarà uno dei 64 incontri della prima giornata delle qualificazioni maschili, mentre per la carriera di Sam Groth potrebbe essere quello finale, almeno in singolare, dell’ultimo torneo della sua carriera. Il 30enne di Narrandera ha detto basta da qualche settimana e ha fissato lo Slam di casa come ultima tappa. Sperava in una wild card, invece non l’ha ricevuta e la dea bendata l’ha dimenticato, visto che l’ha accoppiato subito alla prima testa di serie delle qualificazioni, il rampante Taylor Fritz. Ma indipendentemente da come andrà, in attesa di doppio e doppio misto, l’ex numero 53 del mondo lascerà il tennis col sorriso. Perché ha ritrovato se stesso dopo un periodo buio nel quale l’alcool sembrava l’unica soluzione, ha dato forma alla propria vita e non ha alcuna paura a pensare al futuro. L’ha raccontato in una bellissima testimonianza pubblicata qualche giorno fa sul blog Players’ Voice, in cui ripercorre tutti i momenti salienti della sua carriera e della sua vita, con alcuni retroscena sulle difficoltà di una vita solitaria e sugli aspetti meno glamour del tennis. Vi proponiamo la traduzione integrale.
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COME È DAVVERO LA VITA NEL CIRCUITO

Ho parlato ancora del mio periodo lontano dal tennis nel 2011, dopo l’operazione alla spalla e dopo la fine del mio matrimonio (con la collega Jarmila Gajdosova, ndr), ma non sono mai entrato nei dettagli di quanto fossi caduto in basso. L’alcool era diventato la mia via di fuga. Qualsiasi chance avessi per bere qualcosa, lo facevo. Se devo essere onesto, c’è stato un periodo in cui non ero sicuro di poter smettere.

Non molte persone hanno idea di quanto è stata dura. Lo sanno quei pochi che mi sono stati vicino, e ho un paio di ottimi amici di Albury che si sono presi cura di me, perché non stavo affatto attraversando un buon periodo. Per fortuna l’hanno fatto, perché probabilmente non sarei tornato quello che sono se le cose non fossero cambiate.

Giocare a football per un anno mi ha aiutato molto, perché sono stato a contatto con un bel gruppo di persone ai quali importava ben poco del fatto che fossi un giocatore di tennis. Per loro ero solo un altro ragazzo, in un gruppo, e alla fine di quell’anno ho incontrato Britt, la mia fidanzata.

Superare certi problemi mi ha aiutato col tennis, e il tennis mi ha preparato per il resto della mia vita. Ma ho avuto bisogno di trovare me stesso prima di diventare un giocatore di tennis migliore. Il tennis è stata una parte enorme della mia vita, e se me ne fossi andato in quel modo senza tornare avrei avuto per sempre un enorme rimpianto.

Sono fortunato perché in quei periodi difficili ho conosciuto Britt e la mia vita personale è passata al primo posto. Il tennis è uno sport molto difficile, solitario, e anche se sono stato sposato nella prima parte della mia carriera personalmente non ero nella miglior situazione. Nel 2011, il fatto che non avessi una vita privata o professionale che fosse veramente costante ha lasciato tante cose incompiute.

E nel 2015, quando il mio tennis stava volando (e si è infortunato di nuovo, ndr), chi può dire che se l’altra parte della mia vita non fosse andata così bene non sarei caduto un’altra volta in una spirale negativa? Il fatto che avessi Britt mi ha aiutato a superare quelle difficoltà. E mi ha anche aiutato ad arrivare alla decisione di ritirarmi, di lasciare il tennis ed esserne felice.
“HAI SOLO PERSO UNA PARTITA”

Non so come mi sentirò quando scenderò in campo per il mio ultimo Australian Open, ma spero di avere sensazioni migliori rispetto a quando ho giocato per l’ultima volta in singolare. A ottobre, negli Stati Uniti, mi sentivo male solo all’idea di dover giocare. Nell’ultimo anno e mezzo ho fatto fatica, da quando ho avuto un problema al piede, e non mi sono goduto seriamente il tennis. Era come se andassi avanti tanto per farlo.

Dopo aver perso nelle qualificazioni dello Us Open, ho detto al mio coach Billy Heiser “se continuo a giocare così, cosa continuo a fare? ”. “Hai solo perso”, mi ha risposto. Dopo quel torneo non sono andato in Belgio per la Coppa Davis, tornando in Australia, e siccome la Davis negli ultimi anni ha avuto per me un ruolo molto importante, speravo che i ragazzi conquistassero la finale, così da poterla giocare. Ma di colpo la possibilità è slittata avanti di dodici mesi.

Normalmente, quando sono a casa per un paio di settimane non vedo l’ora di partire di nuovo. Mi sono sempre chiesto come potessi fare a trovare un motivo che mi tenesse a casa un po’ di più. Noi giocatori di tennis ci abituiamo a quel genere di vita, ma l’ultima volta non volevo proprio ripartire.

Al tempo non ho detto nulla a nessuno, nemmeno a Britt. Sapeva che avevo delle difficoltà, ma non che stessi pensando di smettere. Pensava, come la gran parte della gente, che quando avrei mollato il singolare avrei fatto un tentativo col doppio, perché per un lungo periodo ho ottenuto risultati importanti pur non focalizzandomi principalmente su quello.

Sono andato in California per dei Challenger e appena ho perso il primo match sono uscito con dei ragazzi a bere un paio bicchieri, su uno yacht nella baia di San Francisco. È stato molto piacevole, e quando mi sono svegliato la mattina successiva ho detto a Britt “mi ritiro”.

Mi ha risposto “cosa?”. Le ho detto “Sì, ne ho abbastanza, non voglio più fare questa vita”.

Non ho annunciato nulla ma numerose persone a me vicine avevano già capito tutto. Il giorno del mio 30esimo compleanno ero a Las Vegas e l’unica cosa a cui pensavo era prendere un aereo e tornare a casa. È andato tutto molto, molto velocemente.

Giocherò le qualificazioni dell’Australian Open. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per essere in forma per il torneo. Mi sono allenato al massimo e sono pronto. Giocherò anche il doppio e il doppio misto, e sarò ancora una volta parte dell’Australian Open.
COSA MI MANCHERÀ DI PIÙ

Avrei dovuto iniziare a pensare, “cosa farò dopo il ritiro?”.

Al momento è qualcosa di sconosciuto anche per me. Non ho cose tenute nel cassetto per il futuro, non ho nulla di già garantito, e sarà molto strano, quando avrò finito il mio ultimo match, svegliarmi alla mattina alle 7 ma non avere le giornate scandite dagli allenamenti.

Lleyton Hewitt dopo aver detto basta è diventato subito capitano di Coppa Davis, e ho parlato un sacco di volte sia con lui sia con altri giocatori per cercare di capire come è la vita dopo aver abbandonato il professionismo.

Ho 30 anni, non 65 o 70. Ho ancora un sacco di tempo davanti e devo trovare una cosa, o più cose, da fare nel mio futuro.

Insieme al rapporto coi colleghi, so che mi mancherà la competizione. E probabilmente quella sarà la parte più complicata. Se iniziassi a lavorare nel mondo dei media, che è qualcosa a cui ho pensato per un buon periodo, non penso che la parte competitiva della mia personalità se ne andrebbe via, quindi devo trovare qualcos’altro per riempire quello spazio.

Ci vorrà un po’ di tempo per lavorare su come potrà essere il prossimo passo. Non voglio finire a fare qualcosa che non mi soddisfa. Nel tennis ho dato tutto ciò che avevo, e non ho alcun dubbio sul fatto che sarà lo stesso anche per qualsiasi cosa ci sarà nel mio futuro.

Fare l’allenatore ad alto livello vorrebbe dire tornare a uno stile di vita solitario, e non penso nemmeno che allenare i ragazzini sarebbe qualcosa che al momento mi soddisfa. Da questo punto di vista non sono mai stato il più portato. Avevo un buon servizio, ma ho dovuto lavorare davvero duramente per arrivare dove sono arrivato. Per questo sento che potrei anche aiutare dei giovani nel difficile passaggio verso il livello più alto del circuito, ma voglio tornare a stare 30 settimane all’anno lontano da casa? Al momento decisamente no.

Un ragazzo come Lleyton ha dato il massimo di ciò che aveva ed è arrivato al numero 1, io ho dato il massimo di ciò che avevo e sono arrivato al numero 53. E sono anche io estremamente felice di esserci riuscito. Penso che se non mi fossi infortunato avrei magari potuto ottenere qualcosina in più, ma se nel 2011 mi avessero detto che sarei arrivato al numero 53 del mondo avrei firmato in un baleno.
GIOCARE CON LLEYTON

Ho giocato con Lleyton praticamente ognuno degli ultimi giorni, e abbiamo parlato molto della mia decisione di ritirarmi. Abbiamo giocato tanti incontri insieme ed è un mio grande amico.

Gli ho detto che nel mio ultimo Australian Open avrei voluto giocare il doppio con un australiano, e quando abbiamo ragionato su quale potesse essere per me la soluzione migliore, entrambi, a mo’ di scherzo, abbiamo buttato lì l’idea di giocare insieme.

Lleyton ha riso e mi ha detto: “beh, non sono la peggior opzione, vero?”. Naturalmente in qualità di capitano di Coppa Davis lui è impegnato nella decisione delle wild card e in tante altre cose, così abbiamo dovuto parlarne con varie persone. Dal punto di vista del torneo è ottimo avere Lleyton nel tabellone e nel programma.

Il traguardo della mia carriera si avvicina. Mi sento pronto. Magari farò un bel torneo in singolare, o in doppio, o nel misto con Sam Stosur. Come mi sentirò alla fine è probabilmente la più grande incognita.
NASCONDERE I SOLDI NELLE SCARPE

Nel tennis ci sono due mondi separati. Se stai giocando l’ATP 500 di Washington, per esempio, dormi nel migliore hotel, e il players’ party si svolge su una terrazza che guarda dritta sui giardini della Casa Bianca. Sembra tutto fantastico. Poi magari finisci in un hotel in Uzbekistan dove l’acqua al terzo piano non arriva nemmeno. Per tutti quei ragazzi che non viaggiano nei piani altissimi della classifica, la vita cambia di settimana in settimana.

Il tennis è un mondo strano, ed è difficile spiegarlo alle persone. Da fuori sembra molto glamour, e ringrazio di aver avuto la possibilità di girare il mondo, vedere un sacco di posti incredibili, e vivere sia a Londra sia negli Stati Uniti. Ma allo stesso tempo è una vita solitaria. E non è sempre come sembra.

Ricordo di aver giocato in Uzbekistan, e fino a qualche tempo fa c’erano ancora dei tornei che avevano l’abitudine di pagare i prize money in contanti. Quando arrivi nel Paese, sei tenuto a dichiarare su un modulo quanti soldi hai con te, e solo la sera prima di andarmene ho scoperto che non si può lasciare l’Uzbekistan con più soldi di quelli che si avevano al proprio arrivo.

Un anno ho guadagnato circa 3.000 dollari arrivando in finale, ma avevo dichiarato al mio arrivo di avere con me 800 dollari in contanti. Mi ricordo la scena: seduto nella mia camera, in hotel, ad arrotolare le banconote da 100 dollari sotto i grip delle racchette, così che non mi venissero confiscate. So che altri ragazzi le hanno nascoste nelle suole delle scarpe.
L’ASPETTO OSCURO DEI SOCIAL MEDIA
Giocare la Coppa Davis era uno dei sogni della mia vita. Ho debuttato nel 2014 a Perth, e l’anno seguente è stato incredibile rimontare da 2-0 sotto in casa contro il Kazakhstan. Nel doppio con Lleyton ho vinto il mio primo match “live”, e all’indomani ho battuto in singolare Mikhail Kukushkin, un giocatore dal grande rendimento in Coppa Davis. È stato speciale.

Allo stesso tempo, è stato difficilissimo accettare la sconfitta in semifinale contro la Gran Bretagna. Abbiamo perso in cinque set un doppio che, se l’avessimo vinto, ci avrebbe probabilmente portato in finale di Coppa Davis. Una delle sconfitte più dure che abbia mai avuto.

Poter giocare in Coppa Davis è stato qualcosa di incredibile, così come la chance di andare alle Olimpiadi. È qualcosa di più grande del tennis. Nessuno potrà mai togliermi l’onore di essere stato un atleta olimpico.

Dal mio punto di vista personale, la mia carriera ha avuto tanti momenti salienti: il terzo turno a Wimbledon giocato contro Roger Federer, il match sempre contro di lui sull’Arthur Ashe Stadium, o quello contro Murray sulla Rod Laver Arena.

Per un ragazzo che arriva da lontano e nel 2011 aveva lasciato il tennis senza l’idea di tornare, aver avuto la possibilità di giocare contro i più forti del mondo negli stadi più importanti è qualcosa che un giorno racconterò ai miei figli.

Ciò che di certo non mi mancherà del tennis sono gli haters sui social media.

È il mondo in cui viviamo oggi: tutti vogliono informazioni e i social sono una parte importante di ciò che facciamo. I social sono il modo in cui uno costruisce il proprio seguito, e guadagna un valore di fronte alle aziende, ma vengono anche utilizzati nel modo sbagliato.

Ho subito eliminato qualsiasi minaccia di morte arrivata nei confronti miei e della mia famiglia, e non è facile convivere con certe situazioni.

Uno può dire di non leggerle, ma a volte, magari quando si sente un po’ giù – e capita, perché non si vince ogni settimana – può succedere di prendere in mano il telefono e leggere queste cose. Io l’ho fatto. A volte ho anche risposto, ma poi ho capito che certe persone e le loro opinioni sono insignificanti.
IL SIGNIFICATO DEI TATUAGGI

Mi piacerebbe essere ricordato come qualcuno che ha raggiunto il massimo delle sue possibilità. Sono fiero di essere australiano e ogni volta che ho giocato per il mio paese ho dato tutto. Non credo di aver mai giocato un incontro in cui non ho dato il 100%.

Farei qualcosa di diverso se potessi tornare indietro? Probabilmente non mi sposerei a 21 anni, ma tutto mi è servito a diventare la persona che sono, e non avessi fatto certe cose e ricevuto certe lezioni di vita magari non sarei arrivato dove sono oggi.

Sono felice di ciò che ho fatto nella mia carriera e nella mia vita personale, e di ciò che ho costruito e sto costruendo. Perciò non penso che cambierei troppe cose.

Il tatuaggio sul mio braccio destro recita “dannato è l’uomo che abbandona se stesso”. L’ho fatto quando stavo lavorando per il mio ritorno ad alti livelli, nel 2013 o nel 2014, ed ero ancora fuori dai primi 100. Per me significa molto perché può capitare di avere persone che ti vogliono più o meno bene che si perdono nel corso della strada, ma non bisogna mai abbandonare se stessi. Sono fiero di essere riuscito a non farlo, perché c’è stato un periodo in cui non ero così lontano.

Sono tornato indietro, e oggi mi sento bene. Sapere di non avere più il tennis, ma di avere un sacco di altre belle cose nella mia vita è una cosa meravigliosa.
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