LE PAUSE DI MURRAY
Difficile trovare un momento-chiave di un match durato 274 minuti: anzi, tante situazioni hanno sorriso a Murray. Ad esempio, il tie-break del primo set: avanti 5-4 e con due servizi a disposizione, ha commesso due ingenuità ma ha finito ugualmente per vincerlo. Oppure il terzo set, spesso comandato da Wawrinka ma vinto da Andy. Dal 3-3 del secondo, lo svizzero ha piazzato un parziale di sei giochi consecutivi che sembrava decisivo. Preso fiato dopo le furiose rincorse nella prima ora e mezza, Murray ha tenuto duro e ha ricucito lo strappo fino a prendersi il set (7-5 dopo essere stato 0-3 e poi 2-4). Si pensava che Andy potesse spuntarla, invece Wawrinka ci ha fatto capire perché spesso si porta l'indice alla tempia: semplicemente, ha fatto progressi enormi sul piano mentale. Quando il match gli interessa davvero (e non accade sempre...) lotta fino all'ultimo punto, con attenzione e solidità da top-player. Buona parte del merito è di coach Magnus Norman: non è una sensazione, ma un dato certificato dai numeri: quando hanno iniziato a lavorare insieme, nella primavera 2013, Stan aveva giocato trenta Slam e colto giusto un paio di quarti di finale. Da allora, ha raccolto tre vittorie, cinque semifinali e una finale ancora da giocare. Un salto di qualità impressionante, simboleggiato da un gesto che ormai è un marchio di fabbrica, come quel rovescio che è sempre più poesia tennistica. E' simbolico che, sul matchpoint, Stan abbia sparato l'ennesimo lungolinea. Pochi colpi vantano un tale mix tra eleganza ed efficacia. Dalla parte sinistra, grazie a un polso d'acciaio, una potenza strabordante e una tecnica perfetta, Wawrinka è in grado di trovare soluzioni incredibili. Murray ha giocato benissimo, ha difeso ancora meglio, ma per fare match pari ha dovuto spendere moltissime energie. E quando corri così tanto (e hai i muscoli puliti come Andy), è inevitabile doversi prendere delle pause.