Marco Caldara
09 September 2017

Kevin Anderson, 203 centimetri di felicità

Dalla lotteria dello Us Open esce il numero 32 di Kevin Anderson: il gigante di Johannesburg batte Pablo Carreno Busta e diventa il tennista da ranking più basso a conquistare una finale a New York, nonché il primo sudafricano in una finale Slam dall’85. Impiega un set a ingranare, poi domina e si arrampica sugli spalti ad abbracciare il suo team. Giocatore di solo servizio? Andate a chiederlo ai suoi avversari…
Che strano, il tennis. Ci si danna per anni e anni corpo e anima col sogno di arrivare ad affrontare le leggende sui campi più importanti del mondo, e poi, ironia della sorte, l’occasione della vita capita contro Pablo Carreno Busta. Ma ciò che conta, sull’Arthur Ashe Stadium o in un torneo Futures senza nemmeno le tribune, è solo vincere. Sempre. Una mentalità che Kevin Anderson ha imparato ai tempi del college, quando praticamente non aveva avversari, e ha applicato alla perfezione al suo Us Open da favola, passato da 9,5 a 10 grazie al 4-6 7-5 6-3 6-4 che gli ha aperto le porte della finale. Il precedente del mese scorso a Montreal era di buon auspicio, e ha vinto di nuovo lui, impiegando un set e mezzo a ingranare ma poi mostrando come mai lo dessero tutti per favorito, e prendendosi una gustosa rivincita contro i tanti che troppo spesso l’hanno ingiustamente etichettato come un giocatore di solo servizio. Niente di più sbagliato: è il suo colpo migliore, certo, ma nel suo arsenale c'è anche un diritto fra i più veloci del Tour, e una risposta di rovescio che ha creato più di un problema a Carreno Busta. E poi non si era mai visto un giocatore di 203 centimetri capace di muoversi sul campo come lui, e reggere senza troppa difficoltà gli scambi lunghi. L’ha fatto benissimo, per tre ore, e si è regalato una finale Slam che l’indifferenza dei critici non gli toglierà mai. Dopo la vittoria su Querrey nei quarti di finale, il sudafricano si era definito senza parole, mentre stavolta è sembrato fin troppo lucido nell’analizzare la situazione. “È bello – ha detto a caldo – che alcuni dei migliori giocatori nella storia del tennis ci abbiano lasciato la possibilità di provare a vincere questo torneo”. Ha ragione: coi big in campo non ce l'avrebbe fatta, ma non gli ha regalato nulla nessuno. Potevano arrivare in fondo 128 giocatori diversi, invece il più bravo a infilarsi in una metà di tabellone rimasta orfana dei grandi è stato lui, che riporta il Sudafrica in una finale Slam trentadue anni dopo la cavalcata di Kevin Curren a Wimbledon. 32 come il suo ranking attuale, il più basso per un finalista dello Us Open dall'introduzione del ranking ATP.
ANDERSON PARTE PIANO, POI DOMINA
Carreno Busta era arrivato in semifinale senza cedere un set, vincendone quindici di fila, e ha fatto sedici con un break sul 3-3, quando Anderson ha pasticciato con un doppio fallo e tre gratuiti. Ma il gigante di Johannesburg, da anni trapiantato a quattro passi da Delray Beach (Florida), è emerso piano piano, mettendo per la prima volta il naso avanti a metà secondo set. È scappato sul 3-1, si è fatto riprendere immediatamente incassando tre passanti, ma quel game gli è servito da lezione. Ha deciso di metterci un pizzico di pazienza in più, e quando il numero dei vincenti ha superato quello degli errori il match ha cambiato faccia. Un doppio fallo di Carreno Busta nel dodicesimo game gli ha offerto un set-point, lui è andato all-in provando a spaccare la pallina e con un rovescio supersonico ha pareggiato i conti, superando definitivamente incertezze e paure. Ha alzato il livello incitandosi a suon di “come on”, ha ricevuto sempre più aiuto dal servizio, e fra terzo e quarto set ha finito per lasciare appena nove punti in dieci turni di battuta, obbligando Carreno Busta a reggere un pressing insostenibile. Punto dopo punto l’ha spedito a giocare sempre più lontano, ha preso il totale controllo del match e nel finale non ha tremato. Si è dimenticato che vincendo quel game avrebbe conquistato la finale allo Us Open, e ha giocato da campione quando il rivale ha provato in tutti i modi a fargli venire dei dubbi. Prima l’ha costretto ad andare a servire per il match, accorciando sul 4-5 dopo il game più lungo del confronto, e nel primo punto del decimo gioco ha vinto un braccio di ferro da 38 colpi, terreno inesplorato nelle quasi tre ore precedenti. Ma Anderson è rimasto lì, ha risposto colpo su colpo, si è preso il match-point con un delicatissimo smash da fondocampo e qualche secondo dopo era al centro del campo col sorriso e le mani nei capelli, a guardarsi intorno per cercare di realizzare ciò che aveva appena combinato.
DUE CARRIERE IN UNA
Subito dopo, ancora prima di arrampicarsi nel suo box da coach Neville Godwin e dalla moglie Kelsey, Kevin è andato a bordo campo ad abbracciare il fratello minore Greg, di 18 mesi più giovane e avversario di mille battaglie al muro di casa, fatto costruire appositamente da papà Mike. Anche Greg puntava a diventare un professionista, ma ha dovuto mollare prestissimo a causa di ripetuti problemi fisici, affidando al fratello il compito di avverare anche i suoi sogni. Oggi dirige un’accademia nel Connecticut, ma allo Us Open non manca mai, e in mezzo ai 23.000 dell’Arthur Ashe era il più felice, come già nel 2015 sul vecchio Louis Armstrong, quando Kevin era finalmente riuscito a cancellare il record negativo di ottavi Slam giocati (sette) senza mai superarli. Stava diventando una maledizione, ma due anni fa sparò 81 colpi vincenti in faccia a Andy Murray e si regalò il primo quarto, con conseguente ingresso nella Top-10. Un punto d’arrivo che poteva trasformarsi in un punto di partenza, se solo non fosse arrivata una lunga serie di guai fisici che hanno rovinato i piani del 31enne sudafricano. Nulla di grave, ma tanti piccoli problemi che messi insieme ne hanno frenato ambizioni e classifica, facendolo sprofondare addirittura al numero 80 del ranking ATP. Nel 2016 si è fermato tre mesi per curare una spalla dolorante, approfittandone per un’operazione alla caviglia studiata perché potesse allungargli la carriera, mentre sul finire della passata stagione ha iniziato a litigare con l’anca, perdendo il primo mese e mezzo di 2017. Rientrato a febbraio, ha faticato a ingranare fino a Parigi, poi è finalmente tornato a farsi vedere. Ottavi a Roland Garros e Wimbledon, finale a Washington, quarti a Montreal e un treno preso al volo a New York, che arriverà a destinazione domenica alle 22 italiane, con a bordo lui e Rafael Nadal. Uno dovrà scendere per forza, mentre l’altro potrà rimanerci comodo, a festeggiare il titolo dello Us Open.

US OPEN 2017 – Semifinale Uomini
Kevin Anderson (RSA) b. Pablo Carreno Busta (ESP) 4-6 7-5 6-3 6-4
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