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Marco Caldara
08 September 2017

Stephens, un infortunio per rinascere

Sloane Stephens non si ferma più: batte anche Venus Williams e conquista la prima finale in un torneo del Grande Slam. Il 31 luglio era fuori dalle prime 900 del mondo, ma dal rientro nel Tour non ha sbagliato un colpo. Merito dello stop per la frattura al piede: ne ha approfittato per rimettere ordine alla sua vita, si è goduta un po' di libertà ed è tornata più forte di prima. Come giocatrice e come persona.
L’hanno chiamato “American Dream”, buttando nello stesso calderone statistico quattro storie diverse, ma non tutte le semifinaliste dello Us Open 2017 condividevano lo stesso sogno. Venus Williams puntava a lasciare un ultima traccia della sua carriera infinita, Keys e Vandeweghe a esplodere definitivamente, mentre Sloane Stephens sognava di rinascere dopo i tanti problemi degli anni scorsi, prima di rendimento e poi fisici, fino alla frattura da stress al piede destro che l’aveva obbligata a fermarsi la scorsa estate dopo le Olimpiadi, e poi ad andare sotto i ferri a febbraio. In tanti l’avevano inserita fra le outsider di lusso, ma era difficile credere che potesse arrivare in fondo sul serio, invece dall’urna di New York la dea bendata del tennis ha estratto la sua storia, e deciso che mentre Venus Williams si è dovuta svegliare, e chiuderà il 2017 con più vittorie Slam di tutte (20) ma senza un titolo che avrebbe meritato, il suo sogno può continuare, dopo il 6-1 0-6 7-5 che l’ha promossa in finale. Una battaglia di 2 ore e 7 minuti che si può condensare in un solo punto, in un solo meraviglioso passante di rovescio che ha cambiato il match e il torneo della Stephens, tanto impaurita da una semplice falena in conferenza stampa quanto determinata a dare finalmente una svolta alla sua carriera da potrei ma non voglio. Per trovarlo basta mandare avanti la registrazione fino al 5-4 Williams del terzo set, 30-30, con Venus per la prima volta a due punti dal successo. Ha attaccato rovescio contro rovescio, guadagnando campo, e quando ha trovato uno slice profondissimo sembrava già avere il match-point in tasca. Invece, neanche l’impossibilità di colpire incrociato (la sua soluzione preferita) ha creato problemi alla Stephens: è riuscita a fare spazio alla palla, ha trovato la forza per piegare le gambe dopo un punto lunghissimo e si è inventata un’autentica magia, che vale da sola un posto in finale e regalerà agli Stati Uniti una nuova vincitrice Slam. Negli ultimi quindici anni di titoli Major ne hanno visti passare un sacco, ma solo con Serena e Venus. Attendevano un nome nuovo dal 2001, quando Jennifer Capriati fece suo l’Australian Open.
L’INFORTUNIO COME OPPORTUNITÀ
Sembra assurdo, ma fra le ragioni del miglior risultato della carriera della 24enne di Plantation, al primo posto c’è proprio il lungo periodo di assenza dai campi. In fondo, non è scritto da nessuna parte che tutte le difficoltà debbano necessariamente nuocere, dipende da come le si affronta. Possono condurre alla rovina, oppure trasformarsi in opportunità, come successo nel suo caso. Ha portato il gesso per quindici settimane, non potendo nemmeno camminare, e poi è stata la volta del tutore, ma mentre l’infortunio si riassorbiva ne ha approfittato per rimettere ordine nella propria vita, ricordandosi che il tennis non è tutto. Ha recuperato alcuni aspetti del quotidiano che i giocatori conoscono a malapena, godendosi un po’ di sana libertà senza l’assillo di viaggi e allenamenti. Ha partecipato a un paio di matrimoni, ha seguito in alcune partite il fidanzato Jozy Altidore (calciatore della nazionale americana e del Toronto FC), e ha liberato la mente dalle tante scorie negative accumulate negli ultimi anni. “Il tennis mi è mancato – ha raccontato in settimana –, ma se mi guardo indietro sono stati forse i dieci mesi migliori della mia vita”. Nel corso della primavera ha lavorato un mesetto per Tennis Channel, ai tornei di Indian Wells, Miami e Charleston, osservando il tennis da una prospettiva differente. È stata a contatto con personaggi di spessore come Lindsay Davenport, Paul Annacone, Tracy Austin e Mary Carillo, si è confrontata con loro, e ha trovato nuovi stimoli. “Ho riscoperto un sacco di cose, ho rivalutato tante sfaccettature della mia vita, e oggi mi sento una persona migliore e una giocatrice migliore”. È tornata in campo a Wimbledon, trovando una situazione più aperta di quella che aveva lasciato un anno prima, e ha recuperato in fretta un livello che aveva raggiunto solamente con la semifinale all’Australian Open del 2013, infilando una scalata impressionante, scattata con le semifinali a Toronto e Cincinnati. Il 31 luglio, solo 38 giorni fa (!), era numero 957 del ranking WTA, mentre a fine torneo sarà almeno 22.
IL PUNTO MIGLIORE NEL MOMENTO PIÙ DIFFICILE
Quattro anni fa a Melbourne, dopo aver battuto Serena Williams, l’americana perse contro Victoria Azarenka, mentre stavolta ha vinto lei, in una battaglia da montagne russe. Prima in discesa, in un primo set da 24 minuti contro una Venus fallosissima di rovescio, così lenta, rigida e impacciata da far sospettare qualche problema. Poi in salita, in un secondo durato giusto qualche minuto in più, in cui gli equilibri si sono completamente rovesciati. Lei ha mancato tre palle-break in avvio, Venus ha letto il momento e ha reagito da Williams, cercando di accelerare i tempi. In un colpo solo ha ritrovato rovescio, profondità e serenità, ha mostrato gli artigli della campionessa e la Stephens si è impaurita, tirando indietro il braccio e non raccogliendo nemmeno un game. Ma col senno di poi è stato meglio così, perché la Stephens è arrivata fresca come una rosa al terzo set, quando è iniziata la vera partita. Le due hanno iniziato a giocare bene nello stesso momento e il livello si è impennato, con tanti game ai vantaggi ed emozioni a raffica. Sloane si è risvegliata ed è scappata sul 2-0, Venus l’ha ripresa e ha avuto sulla racchetta la volèe del 4-2, ma l’ha sbagliata di un paio di centimetri e la bagarre è andata avanti, con la Stephens più convincente ma Venus bravissima a rimanerle attaccata nonostante una differenza atletica sempre più evidente. L’ha obbligata ad andare a vincere il match con le sue armi, e lei l’ha fatto nel decimo game. Si torna lì, a quel benedetto passante di rovescio che ha deciso la partita sul 30-30, con la Williams a soli due punti dalla finale. Lei ha fatto tutto bene, ma la Stephens è stata semplicemente troppo brava, giocando il miglior punto del match nel momento più importante. Roba per poche. Il successivo parziale di 9 punti a 1 ne è stata solo la conseguenza, e il lasciapassare per una finale Slam da 50 e 50. Solo una quarantina di giorni fa non ci avrebbe creduto nessuno. Nemmeno lei.

US OPEN 2017 – Semifinali donne
Sloane Stephens (USA) b. Venus Williams (USA) 6-1 0-6 7-5
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