Un simpatico video, con tanto di apparizione a sorpresa, ha sancito l'inizio della collaborazione tra Novak Djokovic e Radek Stepanek. Tra i due c'è una grande affinità e nessuno si è sorpreso né della partnership, e nemmeno delle modalità con cui è stata annunciata. Di Stepanek si è parlato molto in queste settimane: il doloroso ritiro, il ritorno di fiamma con Nicole Vaidisova e vari omaggi a una carriera lunga e fortunata. La sua storia d'amore col tennis, tuttavia, andrà avanti nel modo più affascinante. Per raccontarvi Radek Stepanek abbiamo deciso di regalarvi l'intervista esclusiva che ci ha concesso l'anno scorso. Forse non immaginava che la sua carriera sarebbe terminata così a breve, ma già allora trasparivano le qualità da futuro coach e l'enorme stima verso Djokovic. Una chiacchierata tutta da leggere.
Dopo tante sfortune, a 37 anni di età, dove trovi la forza per alzarti dal letto ogni mattina e andare ad allenarti?
Credo che il segreto sia l'amore per il tennis. Pur avendo superato i 35 anni ho ancora tante energie e altrettante motivazioni. L'anno scorso ho passato momenti difficili ma sono contento di averli superati. La vita è piena di ostacoli, ma dobbiamo avere la forza di tornare più forti di prima. Sono lieto di avercela fatta ma devo ringraziare la mia famiglia, le persone che mi stanno vicino e il mio team. Mi sono stati accanto nei momenti peggiori.
Ci puoi raccontare i tuoi esordi? Hai iniziato con tuo padre a tre anni di età, ma poi come si è sviluppata la tua carriera?
A tre anni non ho esattamente iniziato a giocare. Tenevo la racchetta in mano e trascorrevo ogni momento libero sul campo da tennis: mio padre giocava a livello di club ed è stato il mio primo maestro. Mia mamma lavorava in una libreria, dunque fu molto facile scegliere chi seguire! Mio padre si è preso cura di me fino a 15-16 anni di età, poi ci siamo resi conto che era giunto il momento di cambiare qualcosa. Quel cambiamento fu un passaggio fondamentale, perché ancora oggi capita di vedere tennisti seguiti dai genitori fino a 24-25 anni di età. Certi rapporti non funzionano quasi mai. Lui era il mio coach, ma la cosa più importante resta il rapporto tra padre e figlio: quello non si è mai rovinato. Mi ha insegnato a giocare e ci siamo divertiti molto. Adoro ogni momento che passo sul campo, del passato, del presente e del futuro.
Tua mamma lavora ancora in libreria?
No, è andata in pensione! Adesso ha più tempo per suo nipote, il figlio di mio fratello. Vivono ancora nella stessa città. Siamo una grande famiglia, molto numerosa, quindi c'è ancora bisogno di lei.
Hai iniziato con racchette di legno oppure era già il tempo del grafite?
No, niente legno. La mia prima racchetta era di alluminio, non ricordo se prodotta in Polonia o Cecoslovacchia, molto simile alla Wilson T2000 di Jimmy Connors. Non era esattamente quel modello, ma le assomigliava. L'ho utilizzata per un bel po'.
Non è ancora chiaro come è nato il tuo contatto con Petr Korda nel 2001. Quella famosa telefonata l'hai fatta tu o l'ha fatta lui?
Ricordo molto bene. Era il 25 dicembre 2001 e lo chiamai per augurargli Buon Natale. Parlammo un po' e gli chiesi un'opinione su quello che avrei dovuto fare. Lavoravo duro ogni giorno, ma i risultati non arrivavano. Quell'anno avevo avuto molti infortuni ed ero franato intorno al numero 700 ATP. Sapevo di poter giocare bene, ma non l'avevo dimostrato. Mi disse che giocavo un tennis diverso rispetto agli altri e che avrei potuto fare grandi cose. Se lo avessi ascoltato, mi disse, sarei entrato tra i top-70 entro lo Us Open dell'anno successivo. Ho iniziato piano, non credevo a quello che diceva, mi sembrava una fiction. Nel 99% della telefonata parlammo di quello che avrei dovuto fare, dagli allenamenti alla programmazione. Ha avuto ragione lui. Da un momento all'altro divenne il mio mentore. Siamo stati insieme per molti anni e ho mantenuto grande fiducia nei suoi confronti. Dopo mio padre è stato la persona più importante della mia carriera tennistica. E' stato numero 2 ATP, ha vinto uno Slam e nessuno può insegnare meglio di chi ha vissuto certe situazioni. Adoro imparare dai campioni delle passate generazioni. Lo Stepanek di oggi è stato costruito da lui e gli sarò sempre grato.
Dopo la vostra separazione, ha detto che dovresti concentrarti solo sul doppio. Immagino che non sarai d'accordo...
(ride, ndr) L'anno scorso abbiamo parlato a lungo della mia situazione. Il punto era che nel 2015 mi sono concentrato sul doppio come non mi era mai successo prima. Dovevo trovare un partner fisso e pianificare una programmazione a tempo pieno. Ho continuato a giocare seriamente in singolare, ma l'ho preso come un bonus. Nonostante le operazioni, sono competitivo in entrambe le specialità. Il problema è che sono sceso in classifica, dunque non è facile trovare il giusto equilibrio nella programmazione. Ma ho già vissuto certe situazioni, quindi credo di potercela fare. Sono molto concentrato sul doppio, ma cercherò di fare del mio meglio anche in singolare.
Costruendo il giocatore perfetto, Novak Djokovic ha detto che possiedi il miglior gioco di volo del tour. Bello, vero?
Sicuro, specie se lo dice un numero 1 che non ha reali punti deboli. Mi ha fatto piacere leggere la sua dichiarazione, tra l'altro abbiamo passato parecchio tempo insieme, ci alleniamo spesso durante i tornei e ci divertiamo parecchio. Le volèe fanno parte del mio gioco, mentre lui possiede senza dubbio la miglior risposta di tutti i tempi. In questo momento credo che ogni suo singolo colpo sia il migliore in circolazione. Quello che ha mostrato negli ultimi 18 mesi è straordinario, credo sia il più grande dominio nella storia del tennis. Quello che ha detto significa molto per me.