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Marco Caldara
26 August 2017

Allo Us Open da numero 536 ATP. Col diabete.

Il 22enne californiano JC Aragone è uno dei nomi nuovi al via dello Us Open. Fino a novembre non aveva classifica ATP, e lo scorso sabato non era certo di giocare le qualificazioni. Poi ha ricevuto una wild card in extremis e con tre vittorie si è guadagnato il main draw, con buona pace del diabete, scoperto cinque anni fa durante un torneo giovanile.
Nell’osservare il tabellone dello Us Open 2017, con davanti agli occhi un’indigestione di 128 nomi, l’appassionato classico si sofferma sui big, per valutare chi potrebbe avere il cammino più semplice e chi invece dovrà sudare fin dall’inizio. Ma c’è anche chi preferisce andare oltre, e scoprire storie nuove. L’affluenza da record nelle qualificazioni, con ben 41.612 spettatori che hanno varcato i cancelli in soli quattro giorni, dice che i “nerd” della racchetta sono sempre di più, e proprio a loro non possono essere sfuggiti i nomi dei cinque tennisti che si sono qualificati per la prima volta in uno Slam: Darian King, Vaclav Safranek, Maximilian Marterer, Evan King e JC Aragone, un 22enne californiano di Yorba Linda praticamente sconosciuto anche agli appassionati più attenti, e capace di superare le qualificazioni addirittura da numero 536 del mondo. A contribuire alla maxi cifra di 45 statunitensi in gara nei due tabelloni principali, insieme a Jack Sock, John Isner e ai giovani talenti della Next Gen ci sarà anche lui, abituato (ma neanche troppo) a Challenger e Futures, e senza ranking ATP fino allo scorso novembre, perché impegnato con gli studi di scienze politiche all’University of Virginia. Quando sette giorni fa si è presentato al Billie Jean King National Tennis Center, non era affatto certo di giocare il torneo. Alcune delle wild card per le "quali" non erano ancora state assegnate, ma i pretendenti erano più dei posti liberi. Risultato: qualcuno se n’è andato a testa bassa, mentre lui ha ricevuto l’ultima wild card disponibile e ha lanciato la sua favola, fatta di rimonte e piccole imprese.
Juan Cruz Aragone è stato fondamentale nei titoli NCAA vinti dai Virginia Cavaliers
L’ESPERIENZA DEL COLLEGE PER VINCERE
Aragone non aveva mai giocato le qualificazioni neanche a livello ATP, e sembrava già spacciato contro Marco Cecchinato. Invece gli è bastato un set per pagare lo scotto dell’esordio Slam, ha fatto pesare l’abitudine a quel cemento che nel campus di Charlottesville è stato il suo pane quotidiano per quattro anni, e la tensione è volata via. Dopotutto, cosa vuoi che sia un match di qualificazione per uno che solo tre mesi fa, in un palazzetto stracolmo di gente, ha chiuso la sua carriera universitaria vincendo il match che ha consegnato il quarto titolo NCAA in cinque anni ai suoi Cavaliers? L’ha spuntata al terzo set contro il siciliano, poi ha fatto lo stesso anche contro Riccardo Bellotti e al terzo turno ha fatto fuori, di nuovo in tre set, anche l’australiano-giapponese Akira Santillan, conquistando il main draw e la sfida con Kevin Anderson, uno che solo due anni fa a Flushing Meadows si guadagnava quarti di finale e top-10, battendo Andy Murray. La carriera di Aragone, invece, è solo all’inizio: il college è appena andato in archivio e solo da qualche mese ha iniziato ad affacciarsi al mondo "pro", dopo aver rifiutato un paio di profumate offerte di lavoro da parte di due note multinazionali. La qualificazione allo Us Open è un grande stimolo ad andare avanti, verso obiettivi ancora da scrivere. Magari non diventerà top-10 come sognava da bambino, ma con servizio e diritto può dimostrare che si può diventare tennisti di livello malgrado un passato travagliato per motivi di salute, e anche col diabete, malattia che non va troppo d’accordo con uno sport come il tennis, che richiede ore e ore di allenamento e sforzi fisici in grado di polverizzare ogni energia.
IL COMA, IL DIABETE, LA RINASCITA
Tutto è iniziato nel gennaio del 2012, quando si trovava in Florida per un campus della USTA, pronto a partire per dei tornei juniores in Sudafrica. È stato ricoverato d’urgenza in ospedale per un’insufficienza renale e problemi al fegato, dovuti a una reazione allergica a un farmaco preso per curare l’acne. L’hanno portato direttamente in terapia intensiva e ci è rimasto per oltre un mese, un paio di settimane passate in coma farmacologico. La situazione era pericolosa: il suo sistema immunitario attaccava i suoi organi, così i medici sono dovuti intervenire con un potente bombardamento di steroidi. Con una degenza di oltre due mesi il problema è stato arginato, ma gli ha lasciato in eredita una patologia della pelle che per oltre un anno non gli permetteva di stare troppo al sole. Ha passato oltre sei mesi senza toccare racchetta, poi ha ripreso a piccoli passi. A causa degli steroidi la gente non lo riconosceva più, e come se non bastasse c’è stato presto un altro stop. Mentre era impegnato a Kalamazoo (Michigan) per un noto torneo nazionale giovanile, si è accorto che qualcosa non funzionava. Disidratazione, mal di testa, altri problemi in vista. Dopo aver vinto il match di secondo turno si è fatto portare in ospedale, dove gli hanno diagnosticato il diabete di tipo 1, il più delicato. In sintesi, il suo pancreas provato dalle cure precedenti ha smesso di produrre insulina. Soluzioni definitive? Ancora nessuna, così da allora convive con iniezioni quotidiane di insulina, più volte al giorno.
DA SPETTATORE A PROTAGONISTA
Tramite un piccolo sensore appiccicato nella zona dell’anca, e collegato via Bluetooth a un apparecchio, a ogni cambio campo "JC" controlla in tempo reale il livello di zucchero nel sangue. Una preoccupazione mica da ridere, visto tutti i pensieri che già frullano nella testa di un giocatore durante un match. Mentre gli altri pensano a tattica e palle-break, lui deve stare attento a ipoglicemia e iperglicemia, e intervenire con l’insulina quando capita che il valore scenda sotto la soglia d’allarme, oppure sia troppo alto. Un problema che allo Us Open diventa doppio: nel match con Cecchinato il giudice di sedia ha notato che si iniettava qualcosa, così gli hanno impedito di farlo da solo, invitandolo a chiedere l’intervento del medico ogni volta che ne abbia bisogno. Nel corso delle “quali” è capitato quattro o cinque volte, ma lui non fa drammi: “Non è così difficile da gestire – dice, ma è comunque un problema che si aggiunge a tanti altri”. Nello sport professionistico ci sono stati alcuni casi di atlti diabetici, come l’ex velocista australiana Cathy Freeman o Paul Scholes, ex bandiera del Manchester United, ma i libri del tennis non ricordano giocatori diabetici di alto livello. Potrebbe arrivare lui, che nel 2007 vinceva lo Us Open Designated, torneo under 12 associato al Major newyorkese, ricevendo come premio dei biglietti del torneo vero e proprio e la possibilità di osservare da vicino i campioni. Dieci anni e un coma più tardi, sarà uno di loro. Con un occhio alla glicemia.
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